Caro direttore,
c’è un politico che ha chiesto ai giovani di frequentare meno internet e di prendere in mano la pala da neve. Ce n’è un altro che, in diretta al Tg5, ha chiesto ai nipoti di telefonare alla vecchia zia per sapere se ha bisogno di qualcosa e se riesce a uscire di casa dopo la bufera di neve. C’è, insomma, una classe politica che se da un parte fiuta la voglia innata nei giovani di darsi da fare, anomala per chi non li conosce bene ma normalissima per chi è abituato a starci insieme, dall’altra si affida al volontariato per risolvere i disagi creati da una situazione atmosferica del tutto eccezionale. Tra i ragazzi con la pala da neve in mano, molti hanno notato anche gli scout. Niente di strano, trattandosi di gente abituata a fare della parola "servire" un ideale di vita, non soltanto un motto che scandisce le attività e le uscite. Vorrei richiamare l’attenzione proprio su questo punto: che cosa "non" è spalare la neve. Per gli scout spalare la neve non è un’attività, un impegno, un’uscita, nel senso più gergale del termine. È una condizione normale che nasce dal cuore e dalla proposta educativa che hanno ricevuto e che ricevono fino ai 21 anni, quando è chiesto loro se vogliono diventare capi e quindi educatori. Perché lo hanno fatto in gruppo e in uniforme nel centro di Imola o davanti alle chiese di Zolino, Osservanza, Nostra Signora di Fatima, San Cassiano, ecc… Ma di sicuro si sono organizzati anche sotto casa o nel corsello di accesso al condominio. Quanti giovani lo hanno fatto? Tanti, non solo scout. E magari si sono dati appuntamento tramite internet o altri social network. Perché ai giovani piace mischiare le cose, prendersi troppi impegni, cercare di continuo relazioni. Con in mano sia l’iPhone sia la pala da neve: entrambi strumenti indispensabili per avvertire la vecchia zia che stiamo arrivando e poi per andarci davvero.
Luca Salvadori
Sono contento per la vecchia zia persa in casa sotto la neve, caro Luca (per una volta voglio usare il "tu" anche se non ci conosciamo personalmente, ma conosco bene la strada che fai e lo spirito con il quale ci cammini su). Sono contento per lei, la zia, e per l’Italia, anche se penso che abbiamo un po’ troppo bisogno di situazioni eccezionali – oggi in Romagna o in Ciociaria, appena ieri in Liguria, ieri l’altro in Campania o nel Veneto – per accorgerci di tutti quei giovani che non si rassegnano a stare precariamente appesi tra virtuale e reale, ma concretamente "ci sono", qui e lì, e vogliono cambiare in meglio il mondo o anche solo raddrizzare una cosa che sta andando storta. Di tutti quei giovani che sanno usare la pala e Facebook, e con allegria, grinta e fatica fanno la loro parte, ma anche un po’ (o tanto) la nostra. La parte di noi che spesso sembriamo solo giudicarli – "bamboccioni" e peggio, o solo "illusi" – e che, magari, vorremo solo spronarli e incoraggiarli. Sono contento per la vecchia zia, per l’Italia e anche per me: sono loro che ci fanno coraggio.
Marco Tarquinio