la lettura dell’articolo di Roberto Carnero su Avvenire del 4 aprile in cui si accenna al valore profetico degli 'Scritti corsari' di Pier Paolo Pasolini, mi ha richiamato immediatamente alla memoria un altro uomo di letteratura, che per riconoscimento postumo, potremmo invocare come "beato" o se non garba, certamente come "profeta". Intendo parlare di Antonio Fogazzaro e di quel suo romanzo "il Santo" messo all’Indice dei libri proibiti dalla Chiesa il 5 aprile 1906. È tutto il romanzo che dovrebbe essere riletto in casa cattolica e che ha il sapore di ispirazione divina; e son passati più di 100 anni. Se Fogazzaro ha scritto così possiamo ben pensare quante persone attorno a lui abbiano sofferto in quei giorni per amore della Chiesa. Se mi permette, riprendo solamente parte del colloquio tra "il Santo ed il Papa", perché ci aiuta a capire anche quanta fatica faccia chi sta in alto. Nel capitolo VII avviene il colloquio tra Benedetto (il santo monaco eremita) e il Papa. «Benedetto chinò il capo rispettosamente ad ascoltarlo. "Figlio mio" disse Sua Santità "alcune di queste cose il Signore le ha dette da gran tempo anche nel cuore mio. Tu, Dio ti benedica, te la intendi col Signore solo; io devo intendermela anche cogli uomini che il Signore ha posto intorno a me perché io mi governi con essi secondo carità e prudenza; e devo sovrattutto misurare i miei consigli, i miei comandi, alle capacità diverse, alle mentalità diverse di tanti milioni di uomini. Io sono un povero maestro di scuola che di settanta scolari ne ha venti meno che mediocri, quaranta mediocri e dieci soli buoni. Egli non può governare la scuola per i soli dieci buoni e io non posso governare la Chiesa soltanto per te e per quelli che somigliano a te… E così sarebbe se io facessi togliere certi libri dall’Indice, se chiamassi nel Sacro Collegio certi uomini che hanno fama di non essere rigidamente ortodossi, se, scoppiando un’epidemia, andassi, ex abrupto, a visitare gli ospedali di Roma". "Oh Santità!" esclamò Benedetto "mi perdoni ma non è sicuro che queste anime disposte a scandolezzarsi del Vicario di Cristo per ragioni simili poi si salvino, e invece è sicuro che si acquisterebbero tante altre anime le quali non si acquistano!". "E poi" continuò il Papa come se non avesse udito "sono vecchio, sono stanco, i cardinali non sanno chi hanno messo qui, non volevo. Sono anche ammalato, ho certi segni di dover presto comparire davanti al mio Giudice. Sento, figlio mio, che tu hai lo spirito buono ma il Signore non può volere da un poveruomo come me le cose che tu dici, cose a cui non basterebbe neppure un Pontefice giovine e valido. Però vi sono cose che anch’io, con il Suo aiuto, potrò fare; se non le cose grandi, almeno altre cose. Le cose grandi preghiamo il Signore che susciti chi a loro tempo le sappia fare e chi sappia bene aiutare a farle. Figlio mio, se io mi metto da stasera a trasformare il Vaticano, a riedificarlo, dove trovo poi Raffaello che lo dipinga?". E così dicendo lo benedisse e lo congedò».
don Lauro Consonni, Lecco
Grazie davvero per questa intensa pagina, gentile don Consonni. Nella forma porta, pur con affascinante eleganza, il peso degli anni, ma nella sostanza è segnata da straordinaria freschezza. Mi pare perciò importante ricordare subito, quasi in premessa, che in due occasioni (nel 1999 e nel 2011) 'La Civiltà Cattolica' – che tanta parte ebbe in quel primo Novecento nello strutturare la dura disapprovazione per 'modernismo' culminata nella messa all’Indice de 'Il Santo' – rivalutò con pienezza di sguardo e di toni la bella opera di Antonio Fogazzaro: un libro amato da tanti per tanto tempo e oggi, come molti altri, un po’ troppo dimenticato. E mi pare anche utile ricordare come padre Giovanni Sale concluse lo scritto che, per primo, rese pubblica e solenne giustizia a Fogazzaro: «L’ideale di riforma religiosa propugnato dal 'Santo' (...) riuscì a trovare ascolto nelle stesse aule conciliari e, in qualche modo a influenzare il faticoso cammino della Chiesa postconciliare. Benedetto, il protagonista del romanzo, incitava il Papa a uscire dal Vaticano e a incontrare il mondo (...). Appello profetico (...) che nel Papa Giovanni Paolo II ha trovato un convinto sostenitore». Così padre Sale, 14 anni fa. Appena ieri, poi, poche ore prima della volontaria fine del suo pontificato, Benedetto XVI ci ha raccomandato di «far crescere il Concilio». Noi, oggi, al tempo di Papa Francesco, ci ritroviamo proprio su questa strada che porta al cuore di Dio e al cuore del mondo, un percorso tracciato poco a poco dai suoi grandi predecessori e che il nuovo Vescovo di Roma ci chiama a «camminare insieme», muovendo i primi passi in modo esemplare e coinvolgente per vicini e lontani. E io, caro don Lauro, mi sento di dire che questa nostra Chiesa ha davvero avuto dal Signore «chi le cose grandi le sappia fare». Prendendoci ognuno la nostra parte, confidiamo che ci sia anche «chi sappia bene aiutare a farle».