Il 25 luglio una persona disabile, Hasib Omerovic, viene trovata esanime nel cortile della sua abitazione romana dopo che quattro agenti in borghese sono precedentemente entrati in casa sua; e resta poi in coma, tra la vita e la morte. La vicenda, divenuta di pubblico dominio soltanto da pochi giorni ancorché risalga a parecchie settimane fa, è di quelle di fronte a cui la coscienza umana e civile non può acquetarsi a ricostruzioni e spiegazioni di comodo.
Molti punti restano da chiarire e non è in questa fase delle indagini che conclusioni sufficientemente fondate possono essere tratte: sono, infat-ti, controversi i tratti essenziali della stessa dinamica dell’accaduto e le tesi di accusa e difesa sono tutte da precisarsi e ancora lontane dall’essere vagliate in contraddittorio davanti a un giudice. La gravissima ipotesi di un tentato omicidio da parte degli agenti resta, appunto, un’ipotesi; e male fa chi ne parla o scrive come se fosse una verità sin d’ora incontestabile. Così come sono ipotesi quelle che all’opposto fanno leva su un supposto comportamento, volontario o involontario, della vittima, forse spaventata dall’irruzione di estranei. La strada per raggiungere ragionevoli certezze sarà lunga, e da perseguire senza dimenticare la presunzione d’innocenza, la quale vuole che siano comunque gli addebiti penali a essere convincentemente provati, e non che debba invece essere l’accusato a dimostrarne l’infondatezza. Resta il fatto – questo sì, a quanto sinora emerso, difficilmente controvertibile – di una sorta di perquisizione condotta fuori dai presupposti di legge e con anomala violenza, quantomeno sulle cose.
Fatto comunque inaccettabile, tantopiù se dovessero accertarsi, a copertura, tentativi di occultamento o di alterazione di dati documentari. Circa le voci sul contesto che avrebbe preceduto la tragica vicenda, bisognerebbe smetterla di attribuire il valore di verità indiscutibili a dei “si dice”, infamanti in un senso o in un altro. In ogni caso, piuttosto, due punti fermi dovrebbero essere fissati sin d’ora. Si parla di molestie sessuali, a loro volta tutte da provare, e certamente su di esse, se provate, non si potrà sorvolare. Ma se Hasib queste molestie avesse davvero compiuto, o tentato, ai danni di chiunque, pure non si giustificherebbero mai, in risposta, comportamenti arbitrari da parte di appartenenti alle forze dell’ordine. Soprattutto, poi, sarebbe oltremodo inquietante se dovesse prendere davvero corpo una voce particolare, sulla motivazione per così dire “privata” che, si sussurra, avrebbe suggerito l’irruzione degli agenti.
Proprio stando a qualcuna di quelle voci – che si spera trovino credibile smentita – una delle vittime delle supposte violenze sarebbe, infatti, parente di uno degli agenti. Al personale di polizia sono conferiti poteri assai penetranti sulle libertà di noi tutti. Lo sono, forse non sempre nella giusta misura, ma comunque sulla base di determinate regole, in linea di principio orientate alla tutela di beni collettivi, quali la giustizia e la sicurezza pubblica. Sarebbe doppiamente inaccettabile se quei poteri fossero usati al servizio di una sorta di “giustizia fai-da-te”, la stessa che giustamente si condanna quando è un comune individuo che pretende di esercitarla.