Quando ci si ritrova a parlare della situazione dei rifiuti a Roma, la sensazione di déjà vu è appena più sopportabile della nausea indotta dal fetore che scaturisce dai cassonetti. «Che cosa è successo?», si chiederà allora il fortunato lettore che non abita a Roma, non vi lavora, non frequenta la città per altri motivi di dovere o di diporto.
D’impulso si potrebbe rispondere che non è successo niente. Perché purtroppo non è una novità che la Capitale d’Italia, oltre che centro della cristianità e un tempo caput mundi, si trovi di nuovo sull’orlo dell’emergenza sanitaria a causa dei cassonetti stracolmi (o, quando vuoti, non igienizzati) e dei sacchetti di spazzatura accumulati per le strade e sparsi sui marciapiedi, dei rifiuti che infestano perfino le aiuole e i giardini. In piazzale del Verano, proprio di fronte alla Basilica di San Lorenzo fuori le mura, la statua di Pio XII a braccia spalancate, posta a ricordo della visita del Papa durante il bombardamento di Roma del 1943, è di norma circondata da erba alta, cartoni, bottiglie di birra, brick di vino, buste vuote che svolazzano tristemente. Si tratta di uno dei posti sacri alla città, simbolo di uno dei momenti più dolorosi della sua storia, anche se ormai quasi dimenticato, annegato in quell’alone opaco che sembra avvolgere tutto e tutti.
Perfino la memoria collettiva, un tempo tramandata di generazione in generazione. I romani di oggi, anche adulti, non conoscono la loro città, ne ignorano i luoghi più importanti, i fatti epocali. Si vede che lo sporco, il brutto, alla lunga ottundono, spengono, producono rassegnazione. Si potrebbero portare altri importanti esempi del degrado in cui la città è caduta. Uno per tutti: i viali, i lunghi viali alberati che erano tra i vanti cittadini e fiori all’occhiello di Monteverde vecchio, del Gianicolo, di Prati, di Trastevere, sono sporchi perché non vengono spazzati (così come tutte le altre strade) e gli alberi secolari, alla prima raffica di vento, crollano per annosa carenza di cure. Dunque, non è successo niente.
Direte: ma come? Si è appena dimesso in blocco il Consiglio d’amministrazione dell’Ama, la municipalizzata che si occupa dei rifiuti, puntando il dito contro «l’assoluta inerzia» del Campidoglio. È vero, ma nemmeno questa è più una novità: si tratta del quinto Cda dell’Ama che si dimette nei tre anni del mandato della sindaca Virginia Raggi. Certo, è deluso chi aveva sperato nella collaborazione M5s-Pd a livello nazionale per vedere finalmente una strategia condivisa tra Comune di Roma e Regione Lazio sui rifiuti. Ancora prima del patto giallo-rosso, l’ordinanza estiva del governatore Nicola Zingaretti, segretario nazionale del Pd, sembrava aver aperto uno spiraglio: raccolta più o meno regolare, grazie alla capacità ricettiva degli impianti del resto della regione, portata al massimo, e anche grazie alle ferie fuori città di migliaia di romani e pendolari. I ratti erano tornati per lo più nel sottosuolo, anziché bivaccare in superficie tra i cumuli maleodoranti.
E pure gabbiani e cornacchie si vedevano meno. Ora, finito settembre e tornati tutti dalle vacanze, l’incubo si è ripresentato. L’ordinanza di Zingaretti è stata prorogata per soli 15 giorni, dopo di che la situazione è destinata a peggiorare ancora. Sarà il caos. Il nodo principale è sempre lo stesso: l’assoluta mancanza di impianti per lo stoccaggio temporaneo e per il trattamento dei rifiuti. Un nodo sul quale Lazio e Roma, come in un derby, continuano a parlare linguaggi differenti e ostili. Mentre a Fonte Laurentina, periferia sud, è stato segnalato il caso di una piccola 'terra dei fuochi'. Insomma, non è successo niente.