Se un leader occidentale all’esordio sulla scena internazionale avesse detto che «tutti i crimini commessi contro l’umanità, compresi quelli dei nazisti contro gli ebrei, sono riprovevoli, ma quando si tratta di parlare delle dimensioni della Shoah sono gli storici a doversi esprimere», non sarebbe certo partito con il piede giusto. In molti gli avrebbero infatti rimproverato almeno una certa inopportuna tiepidezza nella condanna dell’Olocausto. Ma se la risposta viene dal neopresidente iraniano Hassan Rohani, successore di Mahmoud Ahmadinejad, il politico più negazionista degli ultimi anni, la valutazione non può che essere molto diversa, e decisamente più positiva. Riconoscere che la Shoah è stata un grande crimine ha anche una valenza culturale non sottovalutabile, sebbene molte cautele debbono accompagnare i commenti a questa svolta sancita in un’intervista a margine dell’Assemblea generale dell’Onu. Come hanno documentato i media israeliani, Rohani domenica era a una parata militare in cui, insieme ai missili che possono raggiungere il suo territorio, campeggiava un cartello piuttosto esplicito: «Israele deve cessare di esistere». Ma il significato del messaggio di Rohani si coglie pienamente ricordando che la sistematica propaganda contro quello che viene definito il «mito dell’Olocausto» abbracciata dai gruppi radicali islamici e sponsorizzata da Teheran non esprime solo un sentimento antisemita. Ha come obiettivo anche la scrittura di una delirante "controstoria" che pone una gigantesca falsificazione (lo sterminio di 6 milioni di ebrei) a opera delle lobby sioniste come elemento giustificatore dell’occupazione del suolo palestinese e della creazione dello Stato di Israele, corpo estraneo in terra arabo-musulmana. Un’idea che si è pericolosamente diffusa fino a concretizzarsi in manuali scolastici in cui la cartina della regione non riporta l’entità politica che siede alle Nazioni Unite, riconosciuta da quasi tutti i Paesi, tranne appunto nazioni islamiche. La demonizzazione che passa attraverso il negazionismo è ciò che ha spesso frenato compromessi e passi avanti nel negoziato di pace in Medio Oriente, la cui frattura sull’asse palestinesi-israeliani continua a essere un grande alibi di movimenti fondamentalisti e terroristici. Fa bene, dunque, il governo di Gerusalemme a mostrare scetticismo: non basta una frase per cancellare una lunga litania di inviti a cancellare non solo metaforicamente Israele dalle mappe. Era però chiedere troppo che Rohani prendesse già ora le distanze dal suo predecessore e rigettasse anche il negazionismo. Forse, per i delicati equilibri interni del potere iraniano, si è spinto fin troppo in là, se è vero che alcune ore dopo le sue dichiarazioni l’agenzia di stampa ufficiale Fars ha voluto "correggere" la traduzione della Cnn, sottolineando che le affermazioni del presidente erano molto più «generali» e non focalizzate sull’Olocausto. Nemmeno una stretta di mano con Barack Obama, capo del Grande Satana americano, sarebbe stata accettabile. Ma il mancato suggello personale non toglie rilievo all’apertura di dialogo tra gli Stati Uniti e l’Iran sulle armi nucleari. Rohani e la parte di Paese di cui è espressione, forse maggioritaria, vuole verosimilmente fare uscire Teheran dall’angolo dell’isolamento e dalle sanzioni economiche in cui l’escalation atomica l’ha messo. Quante concessioni potrà strappare ai suoi "falchi" per offrirle agli interlocutori occidentali resta il vero snodo di una partita diplomatica che resta assai intricata. Alla diffidenza di Israele si unisce infatti quella del fronte sunnita, guidato dall’Arabia Saudita, che non vuole vedere sulla scena come potenza rilegittimata il maggiore Paese sciita. Ripercussioni a catena, di vario segno, si avrebbero anche sul fronte siriano e su quello iracheno, dove la violenza settaria tra sunniti e sciiti è riesplosa ferocemente negli ultimi mesi con migliaia di vittime. Illudersi che un nuovo corso iraniano sia la chiave per una svolta in Medio Oriente potrebbe essere l’ultimo errore in ordine di tempo dell’Amministrazione Usa. Che intanto incassa però la rottura del tabù sulla Shoah. Una crepa nel muro di odio cieco che può valere più di un disarmo parziale.