I sostanziosi aumenti della benzina (più di 2 euro al litro) e delle bollette (+142% per una famiglia di quattro persone tra maggio 2021 e 2022) stanno producendo gravi conseguenze dal punto di vista sociale ed economico. Da una parte, l’Istat prevede che l’aumento dell’inflazione (accelerata dal caro energia) porterà a un milione in più di poveri assoluti nel 2022; mentre sul piano economico sono tante le piccole imprese che rischiano di venire strangolate dall’impennata dei prezzi.
A spiegare i rialzi è naturalmente l’aumento del prezzo dell’energia.
Quello del gas, per esempio, a gennaio del 2022 (cioè prima dell’inizio della guerra russo-ucraina) in Europa era già cresciuto del 421% rispetto al dicembre 2019. Dunque, quanto sta accadendo non dipende solo dalla guerra, che certamente è un ulteriore grave fattore di perturbazione. Alla base, c’è il disordine strutturale del modo in cui si forma il prezzo di un bene così importante come l’energia, che finisce per determinare uno squilibrio intollerabile: forti aggravi per i privati ed enormi profitti per le società energetiche. È del governo la stima in 40 miliardi di euro degli utili 'aggiuntivi' conseguiti dalle aziende energetiche italiane in poco più di sei mesi. Un bel gruzzoletto.
La ragione sta nel fatto che i prezzi delle materie prime non dipendono solo dall’andamento della domanda e dell’offerta, ma si definiscono dentro un sistema internazionale altamente speculativo. Concretamente, il gas venduto al consumo in Italia non tiene conto dei reali costi di importazione, ma è derivato dal prezzo che si fissa sul Ttf olandese, il principale mercato virtuale europeo, esposto a una elevatissima volatilità originata da fattori speculativi ed emozionali, non giustificati solo dall’andamento della domanda e dell’offerta. Gli extra profitti ottenuti dagli operatori in questi anni confermano quanto da tempo rilevato da molti analisti anche sulle pagine di questo giornale: il sistema dei prezzi del gas in Italia scarica sui consumatori il costo del malfunzionamento del mercato. Si tratta di un fatto grave che mina la fiducia dei cittadini rispetto a un sistema che pretende di essere razionale, e che razionale non è.
Per capire di cosa si sta parlando occorre risalire al dicembre 2000, quando l’amministrazione Clinton approvò il Commodity Futures Modernization Act, deregolamentando i mercati delle commodities (cioè delle materie prime, dell’energia, dei prodotti agricoli e di allevamento), di fatto svincolando i prezzi da qualsiasi oggettività materiale e ragione etica. Le società energetiche stanno facendo enormi profitti perché il prezzo del gas, acquistato a un prezzo più basso, è schizzato in alto. I risultati sono quelli che vediamo: la carenza improvvisa di materie prime – legata negli ultimi anni alla ripresa post-Covid prima e alla guerra poi – è all’origine di vertiginose e repentine oscillazioni dei prezzi, amplificate dagli scambi dei loro derivati sui mercati finanziari.
Concretamente, ciò significa che il prezzo del gas o del petrolio (ma poi anche di altri beni essenziali come il grano) si fissa in base alle previsioni e alle azioni conseguenti dei mercati finanziari, indipendentemente dalla loro quantità e dal livello della loro domanda reali. In questa cornice, il mercato può surriscaldarsi o tracollare velocemente, trascinando intere economie e popoli nel caos. Si parla tanto di sostenibilità: ma questo obiettivo va ricercato con uno sforzo comune mirante a combattere tutte le forme 'estrattive' di creazione del valore (a cominciare da quelle speculative, che sono ancora troppe).
In modo apprezzabile, il governo italiano è intervenuto con due azioni importanti: ha tassato per il 25% gli extra profitti (per circa 11 miliardi di euro) per finanziare gli interventi che servono per contenere gli effetti prodotti della crisi bellica (tra cui la riduzione delle accise sulla benzina). E più di recente ha stanziato un contributo di 200 euro in busta paga contro il caro-energia. Ma, per quanto positive, queste azioni sono insufficienti, limitandosi a mettere una pezza senza però risolvere il problema. La gravità della situazione rende urgente un intervento mirante a cambiare le regole del gioco pensate e realizzate per un’epoca totalmente diversa.
E questo intervento – è bene ricordare alla vigilia del vertice Ue del 23-24 giugno – deve necessariamente essere europeo. Esattamente come accadde durante l’emergenza Covid, quando si ebbe il coraggio di superare i vincoli del trattato di Maastricht. In un mondo diventato più instabile e soggetto a continue emergenze, non è ammissibile lasciare intere economie in balìa di fluttuazioni speculative come quelle cui abbiamo assistito negli ultimi mesi. Occorre stabilizzare i mercati, tornando a indicare il prezzo al consumo sulla base del prezzo medio di importazione reale, tenendo conto di tutti i contratti esistenti. Non è un passaggio facile, né politicamente né tecnicamente. Ma è essenziale, tanto più che l’intero comparto energetico deve intraprendere la difficile ma necessaria transizione verso la sostenibilità. Per una volta la politica europea provi a giocare d’anticipo, rispondendo alle attese dei cittadini e costruendo regole del gioco che possono aiutare le nostre società e le nostre economie a guardare con più serenità al futuro.