Nel Comunicato finale del Consiglio permanente della Cei, tenutosi a Matera, alla vigilia del Congresso eucaristico, pensando alle difficoltà economiche che stanno già preoccupando molti nel nostro Paese, è stato conferito un valore di aggiunta al calcolo di quanto è destinato al sostentamento del clero.
L’entità è minima ma rappresenta un pur piccolo segno di vicinanza ai parroci che, come tanti altri, sono alle prese col boom delle bollette e le difficoltà economiche che vanno ad aumentare. Basti pensare alle spese di luce e di riscaldamento che chiedono le chiese, gli Oratori, i vasti ambienti parrocchiali che i nostri bambini, i ragazzi, le coppie, e tutti quelli che ne hanno desiderio e bisogno visitano e 'abitano' non solo di domenica ma anche nei giorni fe-riali o immaginare cosa voglia dire sostenere le infinite opere d’accoglienza, d’ogni genere di sussidio, di carità. In un’ottica di condivisione, i vescovi del Consiglio permanente della Cei hanno deciso di destinare una loro mensilità (dodici, senza tredicesima, per un importo massimo di 1.400 euro netti) al sistema delle offerte deducibili che, dirette all’Istituto Centrale Sostentamento Clero, permettono di garantire, in tutto il territorio, il sostegno all’attività pastorale dei sacerdoti diocesani. Un gesto che vuole essere di esempio anche per i confratelli e che oltre al valore materiale riveste, specialmente, un valore morale e simbolico che merita una riflessione.
E può essere prezioso partire dalla tradizione che la Bibbia attesta e ispira. La prima figura sacerdotale sul proscenio biblico è quella di uno straniero, Melchisedek, re di Salem che: «Offrì pane e vino e benedisse Abram con queste parole: 'Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra'». Sacerdote del «Dio Altissimo»: un Dio che era oltre il nome di ogni divinità etnica, di ogni idolo di appartenenza, identità o privilegio. Abramo non aveva ancora un Dio particolare che si fosse 'alleato' con lui, era un migrante, uno straniero nel paese dove abitava e lì incontrò quel sacerdote del Dio Altissimo: quindi di tutti, dell’intera umanità e, per questo, 'forestiero' a sua volta! Melchisedek offriva pane e vino, condividendo gratuitamente – con chi non ne avrebbe potuto reclamare il diritto – i beni primari alla sussistenza e alla vita.
Per questo Abramo «diede a lui la decima di tutto »: di tutto ciò che invero da quel Dio «creatore del cielo e della terra» riceveva. L’offerta di Melchisedek era lì ad affermare che la terra è di Dio e che Egli ne vuole dividere il frutto per tutti, oriundi e migranti, vicini e lontani e che questa soltanto è la giustizia e la fonte della pace (Gen 14,18-20). Questo strano e straniero sacerdote diventa il modello del sacerdozio di Cristo cui sono conformati i nostri sacerdoti e vescovi. Nel pane e nel vino Gesù offre di più di Melchisedek: il suo corpo e il suo sangue, tutto sé stesso, insomma. Perché non basta un cibo che perisce ci vuole un cibo per la vita eterna. Bene primario di ogni creatura è, in effetti, un’offerta d’Amore che rompe le dogane del tempo e della corruzione. La 'decima' che noi possiamo offrire è, allora, solo un modo per dirci partecipi della Grazia che ci dona l’Amore. Significa riconoscerci debitori dei beni vitali che vengono da Dio. Sapere che la condivisione non è un atto di generosità ma una consonanza nella Carità che tutti nutre.
Dando la nostra 'decima' non stiamo pagando i sacerdoti perché siano dei semplici funzionari del sacro, dispensatori di sacramenti, ma diventiamo noi ministri del Vangelo cosicché, insieme a loro, possiamo cantare con Paolo la libertà della Grazia: «Annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo» (1Cor 9,16-18).