domenica 14 maggio 2023
La vittoria dello scudetto da parte del Napoli ha suscitato enorme entusiasmo. Vivere insieme la passione sportiva dà benessere: evitiamo gli eccessi e ricordiamo chi perde
La festa dei tifosi napoletani per lo scudetto allo stadio Maradona domenica scorsa. L’intera città è stata invasa dall’euforia a motivo del successo sportivo

La festa dei tifosi napoletani per lo scudetto allo stadio Maradona domenica scorsa. L’intera città è stata invasa dall’euforia a motivo del successo sportivo - Reuters

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Il tifo sportivo conta sempre di più nella cultura e nei riti della nostra civiltà. L’attenzione dei media e la reazione di massa di fronte ad eventi come la vittoria del campionato del mondo da parte dell’Argentina e lo scudetto da parte del Napoli non lasciano dubbi in proposito. Il “santuario” di Maradona ai quartieri spagnoli di Napoli è un’indicazione di come la passione sportiva diventi, nei suoi eccessi, quasi un culto profano. Anche se le passioni si vivono e non si vivisezionano, è importante cercare di comprendere quali siano, nei loro pregi e difetti, i meccanismi che ci conquistano in questo modo.

I risultati empirici degli studi sulla soddisfazione di vita identificano nella qualità delle relazioni una delle massime determinanti della ricchezza di senso dell’esistenza. La passione sportiva è innanzitutto un bene relazionale (Lera‐ López et al., “Is passive sport engagement positively associated with happiness?”, in Applied Psychology: Health and Well‐Being). Se chiedessimo a un tifoso del Napoli se fosse stato meglio vivere il momento della conquista dello scudetto da solo su un’isola deserta o allo stadio San Paolo esaurito in compagnia degli altri tifosi, non ci sarebbero dubbi sulla sua risposta. Il tifo sportivo soddisfa il bisogno di appartenenza, è una festa che nasce dal condividere una gioia (quella di un singolo gol o della vittoria di un titolo) con la tribù che condivide il nostro stesso sentire ( fellow feeling, direbbe Adam Smith). In questo, il calcio è una specie di anticipo di paradiso e surrogato di eternità, se pensiamo che nella visione cristiana il premio dell’eternità è quel comune sentire della comunione dei santi in presenza di Dio che è gioia condivisa tra tanti esseri umani. Se il titolo di un film che tutti conosciamo è “Il paradiso può attendere”, quello che spiega la passione sportiva potrebbe essere “Il paradiso si può anticipare”... a rate, e con surrogati di beatitudine nelle manifestazioni sportive.

La passione sportiva è inoltre una fonte straordinaria di carica agonistica. La vita ci pone di fronte a sfide e prove difficili e richiede il massimo del nostro impegno ed energie. L’immedesimazione nell’impegno agonistico di giovani atleti ci fornisce la carica necessaria per poter giocare la nostra partita quotidiana con lo stesso vigore e motivazione. Quest’immedesimazione ha inoltre il vantaggio di poterci mettere nei loro panni qualunque sia la nostra situazione e condizione di partenza. Nella vita vi sono ferite che a fatica si rimarginano, situazioni che purtroppo difficilmente si recuperano, almeno quanto a condizioni economiche e status sociale. Col tifo sportivo possiamo dimenticarci delle nostre pene e trasformarci in vincenti per interposta persona, in un processo dove ogni sconfitta è reversibile e c’è subito un’occasione di riscatto. Memorabile da questo punto di vista il monologo di “Febbre a 90” di Nick Hornby, uno dei più bei film sul calcio, nel quale il protagonista pensa alla bellezza di questo sport affermando tra sé e sé che «la cosa stupenda è che tutto questo si ripete continuamente, c'è sempre un'altra stagione. Se perdi la finale di coppa in maggio puoi sempre aspettare il terzo turno in gennaio».

Ancora l’etica sportiva è il messaggio laico più potente sull’importanza delle virtù in un mondo dove i piaceri effimeri disponibili in rete rendono più difficile per le nuove generazioni cogliere la differenza sostanziale che un economista geniale come TIbor Scitovsky evidenziava tra i “beni di comfort” (che danno piacere a breve, ma creano dipendenze negli eccessi) e i “beni di stimolo”, come la conoscenza di una lingua, una competenza, un’abilità sportiva, la formazione spirituale, che richiedono sforzo ed impegno prima di poter essere goduti, ma poi danno possibilità di fruizione e soddisfazione di lungo periodo. Nella cultura odierna, dove il mercato trova più conveniente spingere sui beni di comfort (i profitti sono maggiori perché le dipendenze rendono la domanda inelastica e meno sensibile al prezzo), la libertà si confonde con l’espansione sconfinata della “libertà di” non comprendendo che tale espansione sconfinata riduce in realtà la “libertà da” e la “libertà per”. Il messaggio dello sport è che per raggiungere un risultato bisogna fare dei sacrifici e una vita d’atleta.

La “ felicità sportiva” ha però alcuni limiti fondamentali. I beni pubblici sportivi sono sempre beni partigiani. In economia, parliamo di miglioramento paretiano quando qualcosa migliora la vita di alcuni senza peggiorare quella di altri e possiamo, in questo caso, parlare di progresso sociale. I risultati sportivi, per definizione, non potranno mai essere miglioramenti paretiani, e un evento sportivo, a differenza di una conquista sociale, non potrà mai produrre un aumento permanente di felicità aggregata, perché alla gioia dei vincitori fa necessariamente da contraltare la tristezza degli sconfitti. Per questo è puerile pregare per far vincere la nostra squadra. Perché si dovrebbe preferire la nostra gioia a quella di chi tifa per la squadra che dobbiamo affrontare? Inoltre, l’eccesso di identificazione nelle sorti della propria squadra può produrre conflitti violenti con i sostenitori delle squadre avversarie, grandi delusioni e depressione in caso di sconfitta, fino ad arrivare al risultato opposto di alienarci dalla vita che viviamo fuori dalla passione sportiva.

Si può prendere il bello e minimizzare il brutto della passione sportiva? In parte sì, ma non del tutto, perché la gioia dei successi non può che essere in gran parte proporzionale alla delusione per le sconfitte. Una via è senz’altro quella di investire nel nostro senso di sportività e nella capacità di gioire anche per i successi di altri (seppure sia difficile farlo proprio per le squadre con le quali la rivalità è più accesa). I tanti video di live reaction che riproducono scene di gioia ed esultanza per successi sportivi sono oggi accompagnati sui social e in rete da commenti vari e diversi. Quelli più belli sono di tifosi di altre squadre che dicono di partecipare a quella gioia e quel successo anche se non si tratta della loro squadra del cuore.

Abbiamo bisogno di più “terzi tempi” (la stretta di mano cavalleresca tra avversari alla fine delle partite di rugby) e condivisioni di gioie altrui per evitare che il bello della passione sportiva tracimi in direzioni dolorose e indesiderate. Dobbiamo farlo perché la passione sportiva è un deposito di memoria ed affetti. Di padre in figlio è il titolo di un’importante festa di tifosi e per molti di noi la passione sportiva è tramandata dai genitori e ce li ricorda una volta scomparsi ogni volta che la gioia di un successo riaccende proustianamente la memoria del tempo perduto e le gioie passate vissute da bambini con loro. Noi boomers siamo come bambini di fronte ad un negozio di giocattoli per le possibilità che la rete ci offre. Ma non possiamo dimenticare che il gioco costitutivo della nostra infanzia e della nostra vita è stato tirare calci ad un pallone ovunque era possibile farlo. Ora che è passato tanto tempo, quando inizia una partita importante è come rimettere le scarpette e la festa ricomincia. Come ricorda il poeta Dylan Thomas, «la palla che ho lanciato mentre giocavo nel parco non ha ancora toccato terra».

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