Come quei massi che precipitano dalle montagne, il cui fragore riecheggia più volte, e più scuro nella lontananza, così ci sono fatti di cronaca che non si esauriscono nel primo compiersi, ma ritornano, in echi dolorosi, ben dopo la loro conclusione. Negli stessi giorni si riparla di Avetrana e di Brembate di Sopra, nomi che sono rimasti nel cuore di tanti: come un peso, come una domanda irrisolta. Da Avetrana viene la notizia dell’arresto di Cosima, moglie di Michele Misseri e madre di Sabrina; anche lei, secondo gli inquirenti, connivente in un terrificante omicidio 'di famiglia'. A Brembate si seppellisce, sei mesi dopo la scomparsa, Yara Gambirasio, che pochi giorni fa avrebbe compiuto quattordici anni. Di nuovo la cronaca accende i riflettori sul destino di due adolescenti, che in storie molto diverse hanno finito con il condividere un atroce destino.E sono nel frattempo nel mondo successe tante cose, anche tragiche e coinvolgenti, come in Giappone, come in Libia, popoli interi: eppure chi, in Italia, ha dimenticato Sarah e Yara? La biondina uscita per andare al mare, la studentessa di terza media che tornava a casa dalla palestra, in una sera come tante. Non possiamo dimenticarci di loro perché, come ha detto ieri il vescovo di Bergamo Francesco Beschi, «Yara non è semplicemente morta, ma su di lei abbiamo visto accanirsi il male». Su Yara, tredicenne ignara e inerme, come su Sarah, fiduciosa in casa degli zii che l’avevano vista bambina, si è abbattuto con micidiale pesantezza tutto il male di cui gli uomini sono capaci.E il precipitare di questa scure su due figlie così simili a quelle che abbiamo noi in casa, acerbe, sorridenti, ci ha lasciati atterriti; e in realtà, nemmeno quando avessimo i colpevoli con certezza individuati e condannati, quei nomi – Avetrana, Brembate – smetteranno, nel sentirli nominare, di dolere come un nervo scoperto: che cosa è stato laggiù, e perché tanto spaventevole male.È questa la domanda attonita che viene da due paesi di provincia lontani fra loro, ma tragicamente accomunati: perché a qualsiasi latitudine possono accadere queste cose. L’eco cupa che rimbalza contemporaneamente dal Sud alle valli bergamasche è la opaca consistenza del male. In tempi in cui ogni certezza pare essersi annebbiata e tutto – famiglia, amore, lavoro – sembra fluido, o soggettivamente declinabile, o precario, la fine di due ragazzine ingannate e uccise afferma con la durezza di uno schiaffo che almeno il male è qualcosa di terribilmente oggettivo. Una radice che c’è negli uomini, coriacea, tenace, sempre presente nella storia.Sei mesi dopo, di nuovo muti davanti alle immagini di bara bianca, in una mattina di sole. Non sapendo che cosa dire ai figli, di fronte a quella che sembra, della morte, una evidente trionfale vittoria. Eppure quella gran folla, anche di sconosciuti, anche da lontano, perché è venuta? Non, forse, a cercare una speranza che sia più forte della morte? C’è una domanda tacita, magari nemmeno cosciente, sospesa sulla folla di Brembate: diteci che, nonostante tutto il male di cui noi uomini siamo capaci, è ragionevole sperare. Diteci che c’è un amore più forte della morte, ad accogliere Yara e gli altri bambini come lei, e anche noi, adulti o vecchi; a spingerci ancora a vivere, avere figli, lavorare, fidarci l’uno dell’altro. È a questa non detta domanda che il parroco di Brembate ha risposto ieri, paragonando il povero corpo di Yara gettato in un campo al chicco di grano che muore, ma per rinascere. Immagine di una volontà di bene che nonostante tutto risorge, tenace, dentro un’antica fiducia cristiana. Quella stessa della madre di Yara: che, è stato riferito, da quando sua figlia è stata ritrovata è più serena, perché, dice, sa che ora è nelle mani del Signore. Una madre testimone, in un paese ammutolito, che il male tuttavia non è l’ultima parola; che c’è, davvero, oltre a tutto il nostro male, un amore più forte della morte.