Il 15 settembre del 2020 il governo allora in carica varò un decreto, l’ennesimo, con «misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19». Nel caso specifico si trattava di un esonero straordinario di sei mesi dal versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per le aziende agricole.
Una delle tante misure pensate per evitare il collasso completo del tessuto sociale, occupazionale e produttivo del Paese. In quel momento i sindacati premevano perché fossero prorogati il più possibile il blocco dei licenziamenti e la cassa integrazione straordinaria, a tutela dei posti di lavoro. Mentre le forze politiche che oggi contestano il Green pass spingevano per 'riaprire tutto e subito', sostenendo di voler così salvaguardare l’economia e le libertà individuali.
Esattamente un anno dopo, ieri, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha convocato a Palazzo Chigi i sindacati per annunciare l’obbligo di Green pass per l’accesso a tutti i luoghi di lavoro, pubblici e privati. Oggi, infatti, le aziende che non sono state cancellate dal blocco produttivo e commerciale indotto dalla pandemia e i lavoratori che non sono rimasti disoccupati per lo stesso motivo (comunque troppi, in entrambi i casi), hanno ripreso le loro attività. Anche a ritmo sostenuto e promettente, dicono i dati macroeconomici.
Sembra perciò di cogliere un’evidente contraddizione tra i giusti timori che le rappresentanze dei lavoratori manifestavano solo qualche mese fa e le odierne, residue perplessità di qualcuno tra loro rispetto alla richiesta del 'certificato verde' nelle fabbriche e negli uffici. Così come è contraddittoria la veemenza di chi voleva riaprire tutto e, adesso che tutto è riaperto, è disposto a correre il rischio di richiudere.
Adesso che si può tornare a lavorare e, speriamo, anche ad assumere perché l’economia manda segnali di crescita e la pandemia segnali di decrescita (grazie alla campagna vaccinale di massa, non perché un mago con la bacchetta ha fatto un incantesimo alla temibile variante Delta del coronavirus), si contesta l’unico strumento in grado di garantire a tutti serenità e continuità lavorativa in nome della presunta libertà di pochi di non vaccinarsi. Per altro, dal punto di vista formale quella presunta libertà resta garantita: basta fare un tampone ogni 48 ore per ottenere il Green pass temporaneo; d’accordo, non è una pratica né comoda né economica, ma in un consesso civile scelte del genere si pagano, perché stiamo pur sempre parlando di un virus che ha ucciso quasi 5 milioni di persone e continua a mietere vite, oggi quasi esclusivamente tra i non vaccinati. Se poi il governo riuscirà a trovare i fondi per tamponi 'gratuiti' (cioè pagati dallo Stato), come chiedono la Lega e Cgil-Cisl-Uil, meglio. Anche se francamente si fatica a capire come si possa chiedere l’obbligo del vaccino, come fa Landini, e contestare quello di Green pass.
In secondo luogo (ecco il motivo per cui abbiamo parlato di libertà solo presunta), la libertà è tale – lo ha ricordato più volte, anche di recente, il presidente della Repubblica – solo quando fa rima con responsabilità. In questo caso la responsabilità di limitare al minimo il pericolo di contagiare le persone che lavorano ogni giorno con noi. Si può infatti pensare di sedere al tavolo del bar o del ristorante solo all’esterno (finché la stagione lo consentirà), di non andare al teatro, al cinema o allo stadio: sono tutte attività facoltative. Ma al lavoro si deve andare tutti i giorni, per chi ha la fortuna di averne uno.
Allo stesso modo, quei leader politici che si oppongono all’estensione della certificazione europea blandendo le minoritarie frange di popolazione no-vax e nopass, dovrebbero ben sapere che se la curva dei contagi dovesse risalire significativamente e si dovessero rendere necessarie nuove chiusure, bloccare adesso le attività produttive sarebbe un colpo letale per l’Italia, che ha cominciato a ricevere, investire e, si spera, far fruttare gli oltre 200 miliardi del Next Generation Eu. Vale la pena di correre un pericolo del genere per incassare quei voti alle prossime elezioni? Forse la risposta va cercata nelle statistiche ufficiali: il 74 per cento degli italiani maggiori di 12 anni si è vaccinato con almeno una dose. È la dimostrazione che il buon senso è ancora maggioritario.