Settantacinque anni fa la morte del più grande economista del Novecento Caro direttore, settancinque anni fa, il 21 aprile 1946 mancava al mondo una delle sue menti più brillanti e coraggiose: John Maynard Keynes. In tempi di crisi, come quelli che i Paesi ad economia di mercato stanno attraversando, le riflessioni riportano all’opera principale di colui che è ritenuto il maggiore economista del secolo scorso.
La 'Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta' costituì una rivoluzione della teoria economica che coinvolse numerosi suoi colleghi contemporanei ed è giunta sino alle più moderne visioni macroeconomiche. Quelle idee, di portata estremamente innovativa, misero in discussione il cosiddetto 'dogma' della Legge di Say del principio del laissez faire, secondo cui l’offerta crea sempre la propria domanda e arrivarono fino alla teorizzazione della necessità di un Welfare State, lo Stato sociale. Una spallata all’ortodossia del pensiero classico liberista, che introdusse nel ragionamento economico valori improntati alla solidarietà e alla fiducia, contro paradigmi sociali nelle mani del mercato che da solo, però, non può soddisfare le esigenze di benessere e inclusione sociale e non può autoregolarsi.
Tutto ciò aggravato da un modello capitalista che, ormai, si è imposto secondo una logica esclusiva di massimizzazione dei profitti, inducendo anche a un uso distorto e speculativo della moneta, con l’allontanamento dai bisogni reali delle persone. Mai come oggi la realtà socioeconomica mondiale, travolta dall’emergenza climatica e ora anche da quella sanitaria causata dalla pandemia, ha dimostrato l’attualità del pensiero di Keynes: le produzioni di beni e servizi non possono sacrificare il lavoro e i bisogni di territori e comunità, anche in termini di distribuzione del reddito.
Occorrono azioni espansive, di politiche e di governo, che guardino al bene comune, agendo su economia e finanza. Bisogna tenere ben presente che Keynes, soprattutto, fu il precursore dell’idea di 'centralità della persona', tutelata e garantita dallo Stato, che doveva porre attenzione anche a quanto dovesse essere utile socialmente, anche se non conveniente per l’interesse privato, evitando il rischio di impoverimento.
Ciò, secondo l’indicazione di Keynes, si realizza con investimenti pubblici. Quegli stessi che oggi riconducono anche alle mie riflessioni sulla Terza Economia, alla 'svolta green' all’insegna della sostenibilità per ciascuna persona e per l’intero pianeta. Concludo con una citazione dell’economista, tratta da The means to prosperity( I mezzi per ottenere la prosperità) e datata 1933, che, a tre quarti di secolo dalla sua morte, ha sapore profetico e offre un indirizzo inequivocabile: «Se la nostra povertà fosse dovuta a terremoti, carestie o guerre se ci mancassero i mezzi materiali e le risorse per produrli, non potremmo sperare di trovare la via per la prosperità altrimenti che con il duro lavoro, l’austerità e l’innovazione tecnologica.
Tuttavia le nostre difficoltà sono evidentemente d’altra natura. Scaturiscono da qualche fallimento nelle costruzioni immateriali della mente, dal funzionamento dei motivi che sottostanno alle decisioni e alle azioni volontarie che sono necessarie a mettere in moto le risorse e i mezzi tecnici di cui già disponiamo».
Senatore del M5s