mercoledì 14 dicembre 2011
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​Qui si cercherà di riflettere sui cosiddetti costi della politica, che sono poi i costi delle istituzioni democratiche. Volti pagina subito chi si aspetta una critica a senatori e deputati per non aver accettato di farsi tagliare gli "stipendi" per decreto o al governo per aver espunto dalla manovra tale norma: non serve scomodare il barone di Montesquieu per affermare che sarebbe un gran brutto Paese in cui vivere, quello dove il potere esecutivo (o qualsiasi altro potere o ordine dello Stato) possa in qualche modo incidere sull’autonomia dell’organo di rappresentanza eletto dal popolo. Tuttavia, il problema si pone, eccome. A quanto pare, se ne rendono conto anche i presidenti delle Camere: ieri Renato Schifani e Gianfranco Fini hanno annunciato che, se entro la fine di gennaio la commissione incaricata di ridurre le indennità non avrà concluso i suoi lavori, saranno loro a «decidere autonomamente».Senza cadere nella facile demagogia, un segnale nella direzione dell’abbattimento di privilegi vari e inutili sfarzi sarebbe stato saggio, oltre che doveroso, già da molto tempo. A maggior ragione se ne sente l’urgenza adesso, in un momento in cui si chiede alle famiglie, ai lavoratori e ai pensionati di fare altri due o tre fori a una cintura già stretta. Pensiamo, per esempio, ai lussuosi appartamenti finora riservati ai deputati questori in un palazzo storico preso in affitto dalla Camera, da molti anni e fino alla fine di quest’anno. Pensiamo all’ormai famoso vitalizio, cioè alla pensione (corrispondente, nella sua misura minima, a una somma mensile che buona parte degli italiani non guadagneranno mai) che ha diritto a percepire chi è stato parlamentare anche per soli cinque anni. Pensiamo, ancora, alle piccole e grandi agevolazioni che gli ex-deputati – ma già che ci siamo aggiungiamo gli ex-vertici di alte magistrature – conservano vita natural durante. Eppure aver ricoperto certe cariche o certi incarichi dovrebbe essere di per sé una ricompensa che trascende dall’incasso di un assegno a fine mese o dal godimento di utilità connesse a quei ruoli e che con essi dovrebbero cessare. Ecco, è soprattutto sul "dopo" e sul palesemente superfluo che sarebbe il caso di operare una robusta e trasparente correzione di rotta. Nessuno, infatti, può in buona fede mettere in discussione la ratio dell’indennità riconosciuta a chi presta (dovrebbe prestare, in alcuni casi il condizionale ci vuole) la sua opera di legislatore, di governante o di alto garante al servizio del Paese. Anzi, le sue radici storiche affondano proprio nella volontà di allargare la partecipazione alla politica attiva anche a coloro che, per censo o per reddito, non ne avrebbero avuto la possibilità. La democrazia, come tutte le cose preziose, ha il suo prezzo, ma è nell’interesse della stessa politica non esagerare con le accise che, come quelle che paghiamo sulla benzina, una volta introdotte gravano per sempre. Per questo sarebbe saggio, oltre che doveroso, dare adesso, senza trucchi e senza ulteriori rinvii, una prova vera di credibilità e di responsabilità. Perché dopo il governo Monti, tecnico o di impegno nazionale fate voi, si tornerà a votare. E con una "cura" come quella alla quale siamo sottoposti la sfiducia verso la politica, quindi l’astensionismo, rischia d’impennarsi. «Gli italiani capiranno», ha assicurato il presidente del Consiglio Monti a proposito dei sacrifici richiesti e dopo aver fatto personalmente la propria parte. Di certo capiranno meglio se potranno guardare agli eletti in Parlamento semplicemente come ai propri rappresentanti e non come a chi ha vinto a una lotteria.
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