venerdì 20 aprile 2012
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​Caro direttore,
stimolato dall’articolo del professor Luigino Bruni del 15 aprile dal titolo "Nuovo patto per l’Europa" che stigmatizza il comportamento del capitalismo finanziario, articolo che condivido pienamente, desidero fare alcune osservazioni. I beni servono per vivere, la finanza serve per diventare ricchi.
Il problema è che la politica non ha posto regole che limitino il "gioco della finanza". Sì perché di gioco si tratta: la finanza è come se fosse un grande Monopoli, dove chi ha soldi o case cerca di farli "fruttare al massimo" nel più breve tempo possibile. Ma questo è vero "frutto" o forse è "sfruttamento"? Servono regole, dunque, e io ritengo che le prime siano le seguenti: 1. Le banche devono fare le banche, questo vuol dire che raccolgono i soldi dai clienti per prestarli a chi ha dei progetti; verificando la bontà dei progetti e stabilendo la giusta remunerazione. Le banche facendo solo questa attività saranno spronate a raccogliere denaro e a prestarlo operando in modo efficiente ed efficace.  Pertanto le banche non devono più "fare finanza". 2. Gli strumenti derivati si possono usare solo se si possiede il "sottostante", siano essi beni piuttosto che titoli. Così facendo si toglie legna alla speculazione e si spegne l’incendio della crescita a dismisura dei prezzi delle materie prime e delle derrate alimentari. I "future" o i famosi Cds (il più diffuso e usato derivato di natura creditizia, ndr) li puoi comprare o vendere solo se hai il titolo sottostante, altrimenti non deve essere possibile. In sintesi è necessario cambiare passo, mettere regole semplici e chiare al governo mondiale della finanza. Credo che la "Tobin Tax" sia solo un modo per rendere più costoso "il gioco della finanza", non la soluzione. E credo che l’impegno dei cattolici per il prossimo futuro debba essere quello di entrare nella "fornace della finanza" per darle delle regole, affinché non bruci più persone e ricchezza. Penso sia ora di iniziare sicuramente da un patto europeo su nuove regole per la finanza. Con grande stima e ammirazione per l’ottimo ed eroico lavoro che Avvenire sta facendo, le porgo i miei cordiali saluti.
Giovanni Grioni, Milano
Non so, caro dottor Grioni, se sia "eroico" il lavoro di informazione e di analisi che svolgiamo sulla crisi economico-finanziaria, sulle sue cause e sulle sue molte conseguenze (anche quelle che da un punto di osservazione europeo e "nordico" sono meno visibili e apparentemente meno interessanti e gravi...). Ma so che è un lavoro serio, coscienzioso e, spesso, controcorrente. Totalmente dalla parte delle persone, delle comunità, dei popoli. Mi colpisce l’attenzione con cui lo segue e le sono riconoscente per la generosità con cui lo valuta. Giudico le due regole che lei propone chiare e forti, rimedi adatti a una cura d’urto (e penso anch’io che di una cura assai decisa ci sia ormai bisogno...). Ma dissento su un punto: non getterei proprio la Tobin Tax nel cestino delle non-soluzioni. Credo, infatti, che questa (modica) tassa sulle transazioni finanziarie rappresenti ben di più di uno strumento per rendere semplicemente «più costoso» quello che lei definisce il «grande Monopoli» della speculazione. La Tobin Tax garantirebbe comunque un (significativo) gettito, e dunque, risorse da ben orientare in una chiave di equità e di sviluppo. E contribuirebbe a rendere un po’ più conveniente per le banche l’esercizio del credito alle attività dell’economia reale rispetto alla partecipazione a certi giochi tipici dell’economia virtuale. In ogni caso, vorrei proprio vederla attuata, così da poter finalmente parlare di quantità e fatti ben precisi. Sono, poi, d’accordo con lei su un punto centrale: viviamo una stagione difficile e importante che – anche nella «fornace della finanza» – invita a un grande e lucido impegno pubblico dei cattolici (impegno diretto loro e impegno condiviso con chi, di diversa ispirazione, nutre identica passione per i non negoziabili valori dell’umano e persegue visioni coerenti). È a questa corale (e competente) fatica per il «bene comune» che la voce della Chiesa continua a chiamare. E la gravità dell’ora, come si sarebbe detto un tempo, ci impone in Italia e altrove di fare la nostra parte.
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