Per un vero contrasto all'odio nel Paese delle multiple leggi
giovedì 24 giugno 2021

Alcuni giorni fa sono stata richiesta di prendere parte alle audizioni della Commissione Giustizia del Senato, in rapporto al cosiddetto ddl Zan sulla omotransfobia, attualmente in discussione. Mi fece piacere, perché ritengo che possa essere utile e proficuo ascoltare cittadini come me, che non si dichiarano 'esperti', non intervengono continuamente sui giornali, ma leggono e pensano; e inoltre spesso – per quel che possono – cercano in questo mondo complesso in cui viviamo un po’ di equilibrio fra la fiducia nelle 'magnifiche sorti e progressive' del futuro e la frequente tentazione di buttar via il bambino con l’acqua del bagno, come dice il proverbio.

La prima riflessione che mi venne di fare – leggendo il testo – fu la sua stessa difficoltà. Difficile da leggere, a volte contraddittorio, non invita il cittadino a capire l’adesione che gli viene richiesta. Quali sono esattamente i confini di un «crimine d’odio»? Chi definisce il momento e il punto in cui un’opinione – espressa magari duramente, nel calore di una discussione – non è più solo opinione, ma diventa «istigazione »? Solamente il giudice, al quale si attribuiscono quindi poteri giudicanti estesissimi, praticamente limitati solo dalla sua personale esperienza di vita. Siamo davvero sicuri del perfetto funzionamento in una materia così complessa della magistratura italiana, proprio in questo preciso momento?

Coloro che hanno proposto e sostengono questa legge sono certamente in buona fede, e come me sognano un mondo il cui le incomprensioni, le lotte, gli orrori legati al colore della pelle, al sesso, alla disabilità siano totalmente superati. Lo sappiamo bene in famiglia. Mio fratello minore fu vittima dell’ultima epidemia di poliomielite, e rimase zoppo per sempre: e tuttavia fu uno zoppo intelligentissimo, che non volle mai sconti, ma si affermò fra i migliori al mondo nel suo mestiere di audiologo. La parola «zoppo» la usava lui, con ironico orgoglio.

Ma io mi chiedo: se giuristi come Cesare Mirabelli, Giovanni Maria Flick, Carlo Nordio, Giovanni Fiandaca, Michele Ainis e molti altri, personaggi come Luca Ricolfi e Giovanni Orsina, femministe storiche di grande intelligenza e intuizione come Marina Terragni; e poi Silvia Costa, Cristina Comencini, Francesca Izzo, Silvia Niccolai e Monica Lanfranco, per citarne solo alcune, hanno manifestato al pari di tanti altri, laici e credenti, seri dubbi e vigorose opposizioni, non sarà il caso di riscrivere il disegno di legge avvalendosi, oltre che dell’adesione emotiva dei fan (sempre necessaria, ovviamente...), anche di una solida, ineccepibile competenza giuridica?

Il concetto di «identità di genere» è davvero così chiaro e universalmente accettato da poter essere inserito in una legge penale? Perché – si chiede Ricolfi – confrontando questo disegno di legge e le due precedenti proposte dello stesso Zan si nota un’accelerazione impositiva su questo argomento? E scrive Fiandaca: «Una volta che si opti – a torto o a ragione – per la soluzione repressiva, che almeno si legiferi con sapienza, in modo da contenere i potenziali effetti controproducenti». E non sarebbe il caso di soffermarsi sulla discussione attualmente in corso in diversi Paesi europei sui minori che sono stati sottoposti a trattamenti ormonali dai quali non si può tornare più indietro?

È davvero necessario aggiungere una nuova legge alle centinaia già vigenti in Italia, che ci rende un Paese dalle numerosissime norme (o poco rispettate o che servono spesso soprattutto per intimidire i cittadini- sudditi?) E così non solo si dimentica l’attualissimo monito manzoniano sulle «grida» della Milano spagnola, ma – ancora meglio – l’inascoltato grido tacitiano « corruptissima republica, plurimae leges » (moltissime sono le leggi se lo Stato è corrotto), che Federico Viscidi, mio bravissimo professore di greco, ci inchiodò in testa tanti anni fa con inimitabile sapienza.

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