«Lo ripete spesso come una cantilena: 'Casa mia, casa mia, casa mia'. E quando è lucida, chiarisce: 'Io voglio morire qui, a casa mia, tra i miei ricordi'. Finché si potrà, allora, lasciamo che resti nel suo appartamento, assistita da due badanti che si alternano». Per Luigi – che ha la fortuna di avere la mamma novantenne ancora viva, per quanto non autosufficiente – la scelta tra assistenza a domicilio e ricovero in una Residenza per anziani finora non si è posta. Per rispetto dei sentimenti della madre. «Fin tanto che lei conserverà coscienza di sé e condizioni fisiche accettabili eviteremo il ricovero, ma certo l’assistenza a casa è costosa e non sempre facile da assicurare a livelli adeguati», aggiunge ancora Luigi. Per le due badanti – regolarmente assunte – la spesa è di circa 1.800 euro al mese, ai quali vanno aggiunti (oltre a Tfr, tredicesima e ferie) contributi per oltre 1.000 euro ogni tre mesi. Soprattutto, però, la difficoltà è trovare personale fidato, che sia in grado di offrire un’assistenza consona ai bisogni dell’anziano e contemporaneamente stabilire con lui o con lei un rapporto empatico, possibilmente anche di affetto. E, per chi non è in grado di assistere direttamente i familiari non autosufficienti, organizzare una vera e propria 'rete di salvataggio' per i periodi di ferie, le malattie, i permessi e gli imprevisti delle stesse badanti.
L’assistenza agli anziani è la grande sfida che sempre più impegnerà le nostre famiglie e lo Stato nei decenni a venire. Oggi le persone con più di 65 anni non autosufficienti per disabilità fisiche o mentali che non ne permettono una vita autonoma sono 2,9 milioni, dei quali 1 milione si stima sia assistito a casa propria. Secondo le previsioni più attendibili, complice l’invecchiamento della popolazione, entro il 2030 il numero degli anziani non autosufficienti arriverà a sfiorare i 5 milioni. Uno scenario che, per essere affrontato, richiede di impostare nuovi modelli di intervento e varare misure concrete con cui affrontare quello che si prospetta come il problema sociale di questo secolo.
Secondo i dati del III Rapporto annuale Domina sul lavoro domestico – di cui possiamo anticipare alcune voci – la spesa delle famiglie italiane per l’assistenza in casa degli anziani è stata pari nel 2020 a 8 miliardi di euro, di cui 3,9 miliardi per le 437.663 badanti regolarmente iscritte all’Inps e 4,1 miliardi per le oltre 580mila badanti irregolari (in questo caso il calcolo è ovviamente sulla sola retribuzione 'in nero' senza versamento di contributi).
Ma occorre migliorare la qualità dell’assistenza e dare 'respiro' ai caregiver potenziando gli interventi pubblici. Da 43 associazioni la proposta di un Piano per la domiciliarità integrata
L’Associazione delle famiglie datori di lavoro domestico ha quindi analizzato la spesa pubblica per l’assistenza a lungo termine, così come risulta dall’ultimo rapporto disponibile della Ragioneria di Stato (dati relativi al 2019). Complessivamente si tratta di 31,3 miliardi di euro, pari all’1,75% del Pil, di cui 23,3 miliardi hanno riguardato persone con oltre 65 anni. Questo totale comprende tre grandi voci: le indennità di accompagnamento (attualmente 522 euro al mese che vengono versati ai non autosufficienti e invalidi al 100% se non ricoverati) per 14,1 miliardi; la spesa sanitaria per 12,4 miliardi e le prestazioni assistenziali, gestite prevalentemente dagli enti locali, per 4,8 miliardi di euro.
Calcolando che la media pro-capite di spesa dello Stato per il ricovero di un anziano è di 22mi- la euro annui, il trasferimento in una struttura pubblica del milione di anziani non autosufficienti oggi assistiti a casa, comporterebbe un aggravio di spesa per lo Stato di 22,4 miliardi. Pur sottraendo a questa cifra 10,7 miliardi di trasferimenti oggi pagati sotto forma di indennità di accompagnamento (che non sarebbe più dovuta in caso di ricovero), resterebbero comunque 11,6 miliardi – lo 0,7% del Pil – come aggravio teorico di spesa pubblica. In sostanza, gli 8 miliardi di euro che le famiglie italiane si accollano come spesa per assistere i propri anziani a domicilio (con rapporti di lavoro regolari e no) fa risparmiare ben 11 miliardi di euro l’anno allo Stato.
«Ciò di cui avremmo bisogno allora è una politica che supporti le famiglie nel loro compito di assistenza e al tempo stesso agevoli la regolarizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori oggi in nero – commenta a questo proposito Lorenzo Gasparrini, segretario generale di Domina –. Un duplice risultato che si potrebbe ottenere ad esempio con un credito d’imposta straordinario per chi fa emergere un rapporto irregolare o, meglio ancora, introducendo finalmente la deducibilità della retribuzione delle badanti. Oggi, infatti, la sola detrazione del 19% su una spesa massima di 2.100 euro e la parziale deduzione dei contributi non rappresentano un incentivo sufficiente ad evitare rapporti di lavoro irregolari, che restano purtroppo economicamente più convenienti per quanto non etici e assai rischiosi». Un supporto fiscale alle famiglie, quello ipotizzato da Domina, che si ripagherebbe da solo – grazie ai maggiori contributi versati all’Inps e al pagamento delle imposte sul reddito da parte dei lavoratori – e che eviterebbe come evidenziato l’aumento della spesa pubblica destinata ai ricoveri.
Le detrazioni e deduzioni previste oggi sono limitate, mentre andrebbe incentivata l’emersione dei rapporti 'in nero'
C’è però un altro campo d’intervento che potrebbe essere di particolare aiuto alle famiglie che assistono in casa gli anziani: quello dell’integrazione con i servizi forniti dallo Stato attraverso Asl e Comuni. Su questo fronte si sta impegnando il 'Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza' sottoscritto da ben 43 associazioni del mondo sociale, sindacale e sanitario, che propone un piano nazionale di Domiciliarità integrata. L’idea di base è quella di un potenziamento e miglioramento dei due servizi principali di assistenza alle famiglie e agli anziani: l’Adi (Assistenza domiciliare integrata, a carico delle Asl) e il Sad (Servizio di assistenza domiciliare, operato dai Comuni). L’obiettivo è quello di progettare risposte ai bisogni degli anziani che siano integrate, superando così l’attuale frammentazione e insufficienza degli interventi in termini di servizi medico-infermieristici, sostegno nelle attività fondamentali della vita quotidiana, ma anche affiancamento e supporto a familiari e badanti per un tempo adeguato. Oggi, infatti, gli anziani non autosufficienti non ricevono un’adeguata assistenza quanto a intensità e durata. Un deficit al quale dovrebbero porre rimedio gli impegni contenuti nel Piano di ripresa e resilienza approvato dal governo, che però al momento restano ancora vaghi e indefiniti. Mentre occorrerebbe iniziare ad avviare la riforma già con questa Legge di bilancio, evitando che tutte le attenzioni – e le risorse – vengano concentrate sul pensionamento più o meno anticipato dei lavoratori.
Attualmente l’Adi, che è il servizio più diffuso, raggiunge il 6,2% degli anziani per una spesa di 1,3 miliardi di euro l’anno. Di qui al 2026 il Piano di domici-liarità proposto dal 'Patto per un nuovo welfare' prevede un costante e netto incremento dei fondi dedicati, grazie ai quali aumentare e rendere più duraturi gli interventi verso i non autosufficienti, oggi in media di 18 ore in totale su un periodo di 2-3 mesi. Per il Sad, invece, che con 347 milioni di euro copre solo l’1,3% degli anziani, il Piano di Domiciliarità prevede un raddoppio delle risorse già nel 2022 e poi un loro costante incremento. L’obiettivo è quello di riconoscere il Servizio di assistenza domiciliare come livello essenziale delle prestazioni (e dunque renderlo esigibile per tutti) affinché in ogni territorio sia presente in maniera strutturale e stabile.
Il dilemma delle famiglie che si trovano a dover scegliere tra assistenza a casa e ricovero in una Residenza per i loro anziani, oltre che dipendere dalle condizioni fisiche, è una questione di sentimenti molto prima che di calcoli economici. Ma assicurare una qualità migliore della cura domiciliare, grazie a visite di personale professionale, alla formazione delle badanti e a un supporto costante alle famiglie, oltre che a migliorare l’efficacia della spesa pubblica può contribuire non poco al benessere di tutti i soggetti coinvolti e della società nel suo complesso.