Più che un viaggio, una sinfonia. Meglio, un disegno. Di quelli, coloratissimi, che piacciono ai bambini, con il verde che sfuma in blu della foresta, il giallo intenso del sole, gli uomini con il viso "dipinto" per dimostrare coraggio e ricacciare indietro la paura. Dai mapuche della Patagonia ai popoli nativi dell’Amazzonia, nella sua visita a Cile e Perù che termina oggi, il Papa come un abile tessitore, ha messo insieme i fili di un’umanità lacerata, offesa, sfiduciata, dimenticata, per farne un manto, uno chamal impreziosito dai chiaroscuri dell’animo umano, brillante degli infiniti toni dell’arcobaleno, "segno" restituito al suo significato biblico di alleanza tra Dio e l’uomo. A Iquique come a Puerto Maldonado e prima ancora a Temuco, Francesco ha testimoniato che il Padre non si dimentica mai dei suoi figli, soprattutto di quelli più umiliati e soli. Ha pregato, ha pianto, ha sorriso, ha celebrato la vita e la Chiesa con loro. Soprattutto li ha ascoltati, guardandoli negli occhi, lasciando che fosse il cuore a trovare le parole giuste per farsi capire.
E la risposta è arrivata, chiara e puntuale. Nelle lacrime delle vittime degli abusi, nella liturgia danzata delle comunità della Cordigliera, nello sguardo timido dei bambini mentre gli regalavano la freccia del più bell’arco mai avuto. A loro, e quindi a tutti noi, Francesco ha ricordato che piangere, gridare, chiedere giustizia è importante ma non basta. Occorre che la denuncia diventi impegno, che gli accordi già raggiunti non restino «belle parole», che l’ascolto si traduca in attenzione, vigilanza, seme di futuro. E le minacce, i motivi per stare svegli, le ragioni per non abbassare lo sguardo, sono tante, concrete, così evidenti che finiamo per non vederle più. Le trovi nelle tante forme di lavoro precario che distrugge le famiglie, nella spregiudicatezza criminale di chi lucra sui migranti, nella mancanza di casa e occupazione, nel furto della terra. Si annidano nei vecchi e nuovi volti dello sfruttamento, nei minatori di "oro sporco" ridotti a schiavi, nelle comunità avvelenate dall’aria puzzolente di idrocarburi, nelle ragazze che si vendono nei "postri-bar". Sono scritte tra le righe dei bilanci delle grandi imprese commerciali, più subdolamente usano il vocabolario del colonialismo ideologico mascherato da progresso, del falso ambientalismo che sembra voler conservare la natura senza tener conto degli esseri umani.
Un manifesto dell’ingordigia disumanizzante che a proposito dell’Amazzonia, si riassume, sono parole del Papa, nel «paradigma storico» che la considera «una dispensa inesauribile degli Stati senza tener conto dei suoi abitanti». È una distorsione che va sanata, un ambiente viziato che chiede aria pura, una camicia di forza da spezzare con le armi del dialogo e della cultura dell’incontro, certo non con la violenza, che «finisce per rendere falsa la causa più giusta».
Perché un altro mondo è possibile, una via d’uscita esiste. Si specchia nell’infinita varietà naturale, si declina nella pluralità, chiama in causa l’unità delle differenze come «diversità riconciliata». Custodire la terra non è solo un imperativo verde, significa difendere la vita, salvaguardare la cultura dei popoli, rendere possibile il futuro.
Nel solco di un magistero che mette al centro l’uomo riscattato dalla misericordia di Dio, il Papa ha ribadito il valore della memoria, la centralità della famiglia, l’educazione come cantiere per la costruzione di ponti. Perché anche se da qualcuno possono essere considerate degli "ingombri" le tribù indigene sanno il valore del Creato, conoscono l’importanza della comunità, con il loro modo d’essere - ha sottolineato il Papa - denunciano uno stile di vita, il nostro, che sembra non essere più in grado di misurare i suoi costi. Ecco allora l’importanza di relativizzare i falsi miti di progresso, ecco il dovere dell’umiltà, ecco il bisogno dei "grandi" di mettersi in ascolto dei "piccoli".
Ogni cultura e visione del cosmo che accoglie il Vangelo, infatti, ha ribadito papa Bergoglio, arricchisce tutti di una nuova «sfaccettatura del volto di Cristo». Di qui il richiamo a una spiritualità che pesca a piene mani nel legame con la Creazione, come dono affidato da Dio alla custodia dell’uomo, l’invito al prossimo Sinodo dei vescovi come occasione per plasmare una Chiesa dal volto indigeno, dai tratti amazzonici. Una sintesi armonica di varietà, una sinfonia. Di più, un disegno unico, un’opera d’arte, un capolavoro dipinto dalla fantasia irraggiungibile del "pittore dell’universo".