Sono certo che non avrebbero mai creduto di poter arrivare a tanto. All'indomani dell’orribile delitto di Ciro Palmieri, a Giffoni, penso che gli stessi assassini – la moglie e i figli resi partecipi – stiano inorridendo. Tolti i serial killer passati alla storia per le assurde e incomprensibili atrocità compiute, per la maggior parte dei responsabili dei delitti, avvenuti soprattutto in ambito familiare, si parla di omicidi d’impeto. Si tratta in genere di persone “normali” che in preda all'esasperazione, per un qualsiasi motivo, si ritrovano a fare una cosa che a mente lucida non avrebbero mai pensato di fare.
A commettere un gesto del quale si vergogneranno per il resto della vita. L’impeto. Se, dunque, fossero riusciti a superare quel momento maledetto, non ci sarebbe stata né la morte della vittima né la vita, o le vite, rovinate degli assassini? Facciamo un passo indietro, allora, e diciamoci, ancora una volta che in ognuno di noi – a cominciare dal migliore - può sonnecchiare una belva. Che compito nostro è sorvegliarla, tenerla a bada, accertarci che non si svegli dal letargo in cui è tenuta a rimanere. Il nemico - qualsiasi nemico - lo si combatte solo se lo si conosce. E quando il nemico non abita in regioni lontane e inaccessibili ma dentro di te, si fa più subdolo e pericoloso. È penoso e straziante tenere in carcere questi assassini “occasionali”. Hanno ucciso, è vero, ma non lo rifarebbero. Fu “quella” situazione esasperata e dolorosa a renderli assassini.
Era la loro, una relazione insana, malata, protrattasi nel tempo. Una relazione che non poteva non degenerare. Ed era proprio là che, forse, si sarebbe potuto intervenire prima che accadesse l’irreparabile. Prima che la bestia si svegliasse. La storia di Giffoni è orripilante. La vittima è un padre violento, che da sempre fa sentire il peso della sua presenza. Un padre che non ha imparato – se per colpa o ignoranza non lo so - che cosa vuol dire condividere la vita con la propria donna e con i figli che sono arrivati. Dobbiamo essere pronti a cambiare – senza farne un dramma - i nostri stili di vita mentre gli anni passano, i figli crescono, le situazioni evolvono.
Dobbiamo convincerci che i grandi misteri da penetrare non sono nascosti solo nelle nelle galassie e negli oceani, ma nell’essere umano. Abbiamo studiato le sue ossa, i muscoli, gli organi, perfino il cervello, ma l'essere umano, nel suo insieme, ancora non riusciamo a comprenderlo fino in fondo. La Chiesa, maestra di umanità, da sempre si è preoccupata di tenerci al riparo dal male. Occorre non dargli confidenza. Fin da quando si presenta simpatico e innocuo come un cagnolino. Ci sono delle virtù che da sole riescono a respingere guai e sofferenze inenarrabili, fra esse, la pazienza e la prudenza.
Pensiamo solo per un attimo a quante famiglie, in Italia, si stanno consumando dal dolore dopo la morte di un figlio, una mamma, un marito, avvenuta per colpa di un giovane – non cattivo ma stupido e imprudente – che guidava in stato di ebbrezza o drogato. La prudenza ti fa vedere prima, con l’aiuto della fantasia, quello che potrebbe accadere se tu non le presti ascolto. La prudenza e la pazienza ci fanno aprire gli occhi prima di giungere a quel punto di non ritorno, quando tutto si fa buio fitto, l’impeto diventa tuo padrone, e tu suo docile schiavo. E ti ritrovi a fare ciò che mai avresti pensato di fare. E, come nel peggiore degli incubi, ti svegli in carcere, dove mai avresti pensato di entrare.
La virtù della prudenza deve essere esercitata non solo a livello individuale e familiare, ma anche dalle autorità competenti, servizi sociali, politica locale e nazionale, carabinieri e vigili urbani, mass media. Penso che noi adulti sovente commettiamo, pur senza volerlo, il peccato di omissione. Accade quando, distratti da mille cose, e obbedienti alla vulgata corrente, dimentichiamo di mettere in guardia i nostri ragazzi, i futuri sposi, le giovani famiglie, dalla bestia che può sonnecchiare in loro e in noi. Di insegnare loro a non averne paura ma anche a tenerla a dovuta distanza.