I segnali sono inequivocabili e profondi: non solo ai lavori stagionali, ma anche all’ambitissimo 'posto fisso' di zaloniana memoria, i giovani hanno iniziato a dire un secco «no». Specie se la sede è nelle grandi aree urbane del Nord e lo stipendio non assicura una vita dignitosa rispetto alle spese. Niente viaggio della speranza da Sud o dalle altre province italiane, se a fine mese non resta un centesimo in tasca. E la tendenza comincia a riguardare anche il lavoro privato.
Molte delle ragioni sono note, altre vanno ancora scandagliate. Sicuramente siamo agli inizi di un cambiamento profondo, storico: da un lato la garanzia di un impiego stabile non è più condizione sufficiente per accettare un posto di lavoro, se non sussistono favorevoli condizioni di contesto; dall’altro lavori stagionali e precari non giustificano l’abbandono o l’arrivederci a forme di sostegno pubblico come il Reddito di cittadinanza.
Nei giorni scorsi il presidente del Consiglio Mario Draghi è tornato a invocare un patto sociale tra politica, imprese e sindacati. Tra il dire e il fare, ci sono le polemiche e le polarizzazioni.
Reddito di cittadinanza, salario minimo, aumenti contrattuali e riduzioni fiscali sono al centro di un confronto quasi 'tribale' tra i partiti e tra le parti sociali, sebbene sia evidente che per uscire da questo imbuto occorrerà un mix di misure e riforme interrelate e ben disegnate, lontane dai furori ideologici ed elettoralistici.
Il punto però è un altro: la 'ricetta magica' non è fatta solo di soluzioni tecniche. Come dimostra anche il dramma della denatalità, non bastano misure e norme, occorre che attraverso misure e norme trovino concretezza parole che le nuove generazioni iniziano a dimenticare perché totalmente consumate - e sterilizzate da chi li ha preceduti: desiderio, sogno, progetto, senso, vocazione... (e chi sa quanto dietro l’evaporazione di queste parole ci siano le facce lunghe e mugugnanti di madri e padri che dal lavoro portano in casa solo nevrosi, e mai il sorriso di un buon dovere che dà significato anche a fatiche e affanni).
Insomma il rischio è che, con questa tendenza, il lavoro non venga più percepito dalle nuove generazioni come 'nobilitante', come dimensione fondativa della persona, come forma e sostanza del proprio originale contributo alla società, che si sviluppa attraverso la fioritura di talenti naturali e altri emersi poco a poco nei percorsi formativi.
Perdere questo patrimonio equivale quasi a perdere tutto. La fake news secondo cui «i giovani non hanno voglia di lavorare» va smontata e rigettata. Va però preso sul serio il dato di realtà, ovvero che i giovani fanno molti conti (troppi?) prima di lanciarsi in un’esperienza professionale.
Il governo e il Parlamento devono, Costituzione alla mano, rimuovere gli ostacoli materiali alla realizzazione della persona. Questo si fa con gli interventi economici, le riforme di sistema e i necessari paracadute di accompagnamento. Allo stesso tempo serve la presa d’atto, da parte delle imprese, che la mera sussistenza non è più una proposta interessante e seria per nessuno. Ma serve anche la presa d’atto, da parte dei sindacati, che parlare di giovani e poi, però, trattare seriamente con il governo e con i partiti solo per le pensioni e per i pensionati è un gioco che tutti hanno ormai compreso e nessuno apprezza ancora.
Serve, infine, un messaggio culturale ampio, trasversale, più profondo che ridica al Paese le ragioni del lavoro, di giorni impegnati con scrupolo e passione su obiettivi condivisi di cui beneficia una comunità più ampia.
Un messaggio che si sta perdendo tra milioni di vere e false 'buone ragioni' rivendicate ora da una parte ora dall’altra. Un segno concreto, un messaggio concreto, potrebbe essere quello di impostare e dedicare l’intera prossima Manovra 2023 al rapporto tra lavoro e giovani. Una manovra pre-elettorale è di solito segnata dall’ansia di elargire fondi a pioggia alle categorie di riferimento, stavolta invece potrebbe essere il momento di massima convergenza su un solo grande obiettivo ritenuto prioritario. Che aspetti, per un anno, chi già ha e già ha avuto e continua ad avere. Nulla di drammatico, per loro. Un fatto radicalmente nuovo per i giovani.