«Certamente lo perdono». Hanno colpito molti le coraggiose parole pronunciate da Farid Ahmad, musulmano sopravvissuto agli attentati di Christchurch, in Nuova Zelanda, all’indirizzo di colui che ha ucciso sua moglie nell’attentato in cui sono state spezzate 50 vite. «Vorrei dirgli – aveva aggiunto – che ha in sé un grande potenziale per diventare una persona che salvi delle vite anziché distruggerle: spero e prego per lui che possa diventare un grande civile, un giorno».
Le espressioni di Farid Ahmad hanno sorpreso soprattutto quanti continuano ad avere una visione non solo statica ma profondamente errata della galassia islamica, come di un contenitore indifferenziato di estremisti di vario genere. Sono gli stessi che si saranno stupiti (ammesso che l’abbiano saputo) del fatto che, il 5 gennaio scorso, in Egitto, l’imam Saad Askar, con un tempestivo intervento, ha contribuito in maniera decisiva a sventare un attentato contro una chiesa copta al Cairo. Ancora. Chi dell’islam conserva una visione negativa, che l’identifica in toto con una religione bellicosa, difficilmente si sarà accorto che durante la beatificazione dei 19 martiri d’Algeria, l’8 dicembre, ha preso la parola la vedova di un imam.
In un momento così solenne, la donna ha voluto far memoria del fatto che i fondamentalisti, durante la guerra civile che ha scosso il Paese soprattutto tra il 1991 e il 2001, avevano ucciso 113 capi islamici, i quali – parole sue – «non potevano accettare che il nome di Dio fosse associato alla violenza». Se, dunque, associare all’islam lo stereotipo della religione inguaribilmente violenta non funziona, dobbiamo aggiungere che, specularmente, è altrettanto sbagliato adottare una visione ingenua, totalmente irenica, del buddhismo. Proprio oggi, nella Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale, esce nelle sale un film, 'Il venerabile W', del regista Barbet Schroeder (candidato all’Oscar). Propone un ritratto di Wirathu, un maestro buddhista birmano noto per le sue posizioni estremiste: in nome della difesa della razza birmana e della religione buddista, questi si è fatto accanito sostenitore della 'pulizia etnica' del Myanmar dal popolo dei Rohingya. Una pulizia in corso da tempo e contro la quale papa Francesco, prima e dopo il suo viaggio in Myanmar e Bangladesh, si è battuto con forza.
Ciò su cui vorrei portare l’attenzione è che, se di estremismo e fondamentalismo musulmano si parla molto da noi, di quanto avviene in seno a una tradizione religiosa quale il buddismo poco ci è noto, per nostro colpevole disinteresse e forse perché – ammettiamolo – siamo prigionieri di stereotipi che associano la tonaca coloro zafferano, sic et simpliciter, a pace e tolleranza. Eppure, tanto per citare un caso recente, giusto un mese fa in Thailandia una retata della Polizia ha permesso di smascherare una ventina di criminali che avevano scelto le pagode per ripararsi dalla giustizia. «Voglio purificare la religione, così le persone torneranno a fidarsi dei monaci», ha affermato significativamente il generale responsabile delle operazioni, ben sapendo che in Thailandia il 95% della popolazione si professa buddista.
Si potrebbe, infine, ricordare che anche l’induismo, da tempo, in India è alle prese con derive estremiste di cui poco o nulla si dice in Occidente. 'Avvenire' a parte, poca attenzione mediatica ha ricevuto, negli ultimi anni, il pericoloso fenomeno della 'zafferanizzazione', ossia l’avanzare di una ideologia – l’Hindutva – che vorrebbe la totale identificazione tra India e religione induista, cancellando l’identità pluralista e democratica che quel grande Paese è riuscito faticosamente a costruire. Per chiudere. Mai come oggi il dialogo interreligioso è prezioso per la costruzione di una umanità più solidale e una convivenza pacifica. E, tuttavia, il dialogo chiede che sia fondato sulla verità, su una conoscenza approfondita dell’altro e che, di conseguenza, si superino visioni manichee o riduttive dell’altro. Rimanendo ancorati a pregiudizi e stereotipi, tanto positivi quanto negativi, non andremo molto lontano.