Per i sindacati più che un "prendere o lasciare" è diventato un "prendete atto". Per la minoranza del suo partito è l’ennesima sfida: "Se non siete d’accordo, dovete assumervi la responsabilità di far cadere il governo e concludere la legislatura". Con la scelta di ricorrere al voto di fiducia in Senato sulla legge delega per il lavoro, il premier Renzi ha spostato in avanti d’un colpo la trincea del confronto sociale e del dibattito politico. Il primo è rivisitato in chiave post-moderna: lontano anni luce il manierismo dei lunghi (e spesso inconcludenti) confronti tra parti sociali e governo, la convocazione per Cgil, Cisl e Uil è per le 8 di questa mattina e alle 9 tocca già agli imprenditori. Appena un’ora di colloquio, o forse di soliloquio (del premier), nella quale "prendere atto" appunto della blindatura del Jobs act e discutere, se mai ve ne sarà la possibilità, di come andare oltre, immaginando norme sulla rappresentanza sindacale, la fissazione di un salario minimo legale e lo sviluppo della contrattazione aziendale: temi ostici ora all’una ora all’altra delle confederazioni. Senza alcuna mediazione, senza alcuno scambio previsto: "Questa è la rotta, questa la direzione", la linea d’ombra per il premier è oltrepassata, l’articolo 18 superato, e ai sindacati non resterà che recitare la solita (scontata) parte. Per la Cgil il riflesso quasi pavloniano del conflitto: la manifestazione già fissata per il 25 ottobre e poi lo sciopero generale, addirittura «l’occupazione delle fabbriche», come dice Maurizio Landini (Fiom) con nostalgia per il biennio rosso 1919-20. Ma sarà tardi e molto difficile organizzare un vero fronte di opposizione a un governo guidato dal partito votato da buona parte delle persone che si rappresenta. Per la Cisl, invece, il tempo del tormento senza l’estasi: come nel 2002 la confederazione è pronta a ragionare nel merito. Anche ad accettare un sacrificio sull’articolo 18 a fronte di un reale passo avanti nel contrasto alla precarietà. Ma, a differenza di 12 anni fa, questo non aprirà nuovi spazi di interlocuzione con l’esecutivo. Le parti sociali, insomma, ridotte a mere comparse in un film diretto e interpretato da Matteo Renzi. Anche in Parlamento gli spazi di mediazione sono chiusi, dopo il delicato equilibrio trovato con gli alleati di maggioranza. La delega sul lavoro, infatti, è l’unica sequenza positiva in una trama sempre più complicata – tra recessione, deflazione e difficile quadratura dei conti pubblici – che il premier può illustrare ai partner europei. Troppo importante per lasciar spazio a un velleitario protagonismo della minoranza Pd. La fiducia, però, toglie alibi a tutti. Soprattutto a chi la chiede: una volta incassata, occorre dimostrare che i risultati concreti, per chi oggi vive il dramma della disoccupazione, arrivano davvero.