Ogni guerra si fa ai poveri
sabato 5 marzo 2022

Le sanzioni contro la Russia di Vladimir Putin stanno facendo davvero male alla Russia. Si ipotizza che la minore 'liquidità' causerà fallimenti per alcune imprese e forte aumento dell’inflazione. In parallelo le restrizioni verso gli oligarchi russi potrebbero essere un motivo serio per mettere in discussione la leadership politica. E fin qui, potremmo dire, tutto bene. Le restrizioni ai magnati del gas non sono, però, paragonabili alle restrizioni imposte a chi è in condizioni di povertà. In Russia e non solo lì.

Nella storia economica e politica non sono mancati Stati che hanno usato le sanzioni contro altri Stati. Ma il risultato ha regolarmente e spesso drasticamente peggiorato la vita dei poveri di entrambe le società. E paradossalmente ha fatto aumentare il consenso verso i 'capi di regime', con la scusa (e la narrativa) del nemico esterno. Nella storia italiana, ricordiamo Mussolini sanzionato internazionalmente per l’invasione dell’Etiopia e la narrazione della «perfida Albione». La realtà è che i Paesi 'a bassa democrazia' sono pronti a far soffrire i propri cittadini – anche se deboli – per raggiungere obiettivi strategici e militari. Le sanzioni economiche faranno male anche ai cittadini poveri in Italia e in Europa. Anzi, più male. Pure questo è un effetto prevedibile. Il costo dell’energia in Italia è già cinque volte superiore a quello degli Usa e basterebbe questo per capire che cosa accadrà per famiglie e imprese: redditi più bassi e minori posti di lavoro, proprio nella fase della ripresa. All’aumento del costo del gas va già, e andrà di più, aggiunto il rincaro del carburante, che incide su tutte le merci trasportate su gomma, e perfino del grano e del mais. Il tutto porta al solito punto, il rialzo dell’inflazione che erode il valore d’acquisto dei salari e degli stipendi: soprattutto di quelli bassi.
Dunque il collegamento tra sanzioni e povertà è chiaro, diretto, evidente.

Aggiungiamo che i meccanismi sanzionatori non sono sempre efficaci o lo sono parzialmente, per effetto delle triangolazioni con Stati non oggetto di sanzioni. L’economia cerca sempre la via per uscire e trattare. Usare l’economia in modo esattamente opposto – per non trattare – è rischioso. Ma è anche la strada per rispondere in modo nonmilitare a un attacco militare, senza provocare un’ulteriore escalation militare. Se questa è la strada, servono però due attenzioni. La prima attenzione è puntare molto decisamente sulle sanzioni selettive, perché sono efficaci. Si ricordano i casi contro Slobodan Milosevic e i membri del suo 'cerchio'. Le attuali sono anch’esse abbastanza selettive, stanno lasciando il segno e potrebbero avere qualche successo soprattutto quelle finanziarie – come ha analizzato ieri Roberto Petrini su queste pagine – che si medita di rafforzare ulteriormente. Le sanzioni, insomma, devono essere non solo rapide ma ben mirate: davvero 'intelligenti', capaci cioè di colpire chi effettivamente è decisore della guerra o ha a che fare con la guerra, e non chi è povero e ne subisce comunque i danni.

La seconda attenzione è accompagnare le sanzioni con interventi di sostegno alle condizioni di povertà. Questo è possibile nei Paesi di guerra attraverso la solidarietà messa in atto da organizzazioni internazionali, ong o altri organismi di assistenza e di carità a cui debbono essere garantiti 'corridoi di passaggio' e forme di aiuto diretto. Nei Paesi che invece promuovono le sanzioni, i sostegni devono essere garantiti dagli Stati stessi: potremmo anche aggiungere dagli Stati alleati, perché l’effetto delle sanzioni non è uguale neppure per tutti gli Stati che le promuovono. Nel nostro caso non è paragonabile l’effetto che determineranno in Italia o negli Stati Uniti d’America. Le sanzioni vanno, quindi, studiate con cura e vanno accompagnate da politiche sociali che limitano la gravità dei danni sulle fasce più povere del popolo. Quando si manifesta una guerra, le cose si complicano e vi è la certezza di trovarsi di fronte a scelte eticamente molto discutibili. Max Weber ci ricorderebbe che il politico agisce secondo l’etica della responsabilità e non per impulsi sentimentali o valoriali. Ma visto che gli effetti delle nostre azioni sono abbastanza evidenti, allora la responsabilità delle scelte rischia di metterci contro l’etica stessa, di ridurla a etica del male minore. Per questo la storia e la competenza possono essere decisivi nel non creare ulteriori sofferenze. Per questo si continua a ribadire l’importanza della pace e delle politiche per la pace: sono la tutela per la persona umana. Dopo la pandemia (messa tra parentesi, ma non terminata), ecco la guerra: non c’è requie per i popoli, oggi. Soprattutto per i poveri di qualunque popolo. La via della pace non è solo una questione politica, è anche – e concretamente – una questione sociale.

Portavoce Alleanza contro la povertà in Italia

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI