martedì 22 novembre 2011
COMMENTA E CONDIVIDI
Come prima, peggio di prima. Riesplode l’Egitto e torna a infiammarsi piazza Tahrir, il luogo-simbolo della rivolta che da tre giorni ci ripresenta, in una sorta di terri­bile déjà vu: le stesse immagini di scontri, barricate, incendi, violenze e sanguinosa re­pressione che avevano caratterizzato l’ini­zio della protesta popolare di gennaio, la glo­riosa rivoluzione culminata con la definiti­va uscita di scena di Mubarak. Ma oggi tut­to appare molto più difficile e confuso poi­ché a fronteggiare con pugno di ferro i di­mostranti – mentre il bilancio dei morti au­menta di ora in ora configurando una vera e propria strage – ci sono quegli stessi milita­ri che dieci mesi fa venivano acclamati dal­la folla come i garanti di una pacifica transi­zione democratica. Il fatto è che per i rivoluzionari di piazza Tah­rir la caduta di Mubarak rappresentava il pri­mo passo verso lo smantellamento del vec­chio sistema autoritario. Invece per le Forze Armate, tradizionale pilastro del regime, l’e­stromissione del raìs era vista come il prez­zo da pagare per mantenere il proprio pote­re. Prima o poi le due visioni, profondamente contrastanti anche se camuffate sotto gli slo­gan euforici del «popolo ed esercito uniti ma­no nella mano», dovevano entrare in con­flitto. I segni di una progressiva divaricazio­ne erano diventati sempre più evidenti. Ri­mangiandosi tutte le promesse, il Consiglio supremo delle Forze Armate, presieduto dal generale Hussein Tantawi, l’ex ministro del­la Difesa considerato dagli americani «il fe­dele cagnolino di Mubarak», ha prolungato e ampliato lo stato d’emergenza in vigore da trent’anni, ha posto limiti alla libertà d’e­spressione colpendo giornali e blogger indi­pendenti e, in questi dieci mesi, ha manda­to sotto processo, davanti ai tribunali mili­tari, oltre 12 mila persone, in gran parte con­dannate a pene detentive per aver criticato la giunta militare. Anziché accelerare il passaggio di poteri, Tan­tawi ha stabilito un percorso elettorale com­plicato e lunghissimo che dovrebbe prende­re avvio il 28 novembre e concludersi in gen­naio per quanto riguarda l’Assemblea del po­polo, cui seguirà per altri due mesi l’elezio­ne della Shura, la Camera alta, e quindi la creazione di un’Assemblea costituente dove l’80% dei membri dovrà essere approvato dai militari. Solo dopo l’approvazione della nuo­va Costituzione si procederà all’elezione del capo dello Stato, non prima del 2013.Infine, il Consiglio supremo delle Forze Ar­mate ha fissato una serie di «principi sovra­costituzionali» a difesa delle prerogati­ve dell’esercito, considerato il garante della laicità dello Stato così come lo erano i mili­tari turchi prima che Erdogan cambiasse le regole del gioco. Una prospettiva che ha su­scitato le aspre critiche degli islamisti come i Fratelli Musulmani, finora sostenitori di Tantawi. Ma ha anche scatenato le proteste di tutti coloro che vogliono vivere in uno Sta­to secolare e democratico al di fuori di ogni tutela militare. Sono i giovani di piazza Tah­rir, i 'laici' che rifiutano sia l’integralismo i­slamico che la laicità in uniforme, i cristiani copti che chiedono piena libertà religiosa ed hanno già tristemente sperimentato la re­pressione violenta nella domenica di sangue dello scorso 9 ottobre.Tutti costoro sono scesi di nuovo in piazza per difendere la 'rivoluzione tradita' dal col­po di stato strisciante degli uomini con le stellette guidati dal maresciallo Tantawi. U­na partita ad alto rischio e piena d’incogni­te: c’è una sfinge al potere in Egitto, più sub­dola e ambigua del deposto Faraone.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: