Nelle sue dichiarazioni alla Camera il 22 giugno scorso, Mario Draghi, presidente del Consiglio oggi semi-dimissionario, ha affermato che non è possibile cominciare a parlare di pace finché una delle due parti in conflitto si rifiuta di farlo prima di avere acquisito il controllo di una vasta parte del territorio ucraino e l’altra si rifiuta di accettarlo fino a quando le truppe russe non si ritireranno dal suolo dell’Ucraina. E ha concluso: sono due posizioni inconciliabili.
Ma quale è il compito della politica e della diplomazia? È bene tornare a chiederselo proprio in queste ore in cui il governo italiano e la legislatura sono come sospesi in una crisi assurda nelle modalità eppure annunciata per le tensioni e le forzature accumulatesi anche nella gestione della crisi bellica.
Ebbene, il compito della politica non è certo quello di prendere atto di una inconciliabilità di posizioni, bensì di fare di tutto per cercare e costruire un possibile punto di incontro. Vale a Roma, come a Kiev e come a Mosca. Se si assume per non modificabile la posizione di uno dei contendenti (o di entrambi), si rinunzia a questa ricerca, non si fa politica e di fatto si lascia che le crisi diventino drammi, e che sul fronte di guerra continui quella inutile strage che ogni giorno vediamo sui teleschermi e sui giornali (almeno di quelli che non hanno già cominciato a rimuovere la tragedia).
Si devono fare tutti gli sforzi per arrivare a un cessate il fuoco, immediato e senza condizioni. E questo, come segnalano le inchieste di opinione che sono state analizzate a fondo su 'Avvenire' di mercoledì 13 luglio, è il desiderio di una gran parte del popolo italiano. Tanti, tantissimi di noi non vogliono assuefarsi alla ineluttabilità della guerra e dei suoi orrori. E tutti insieme abbiamo il diritto e il dovere di dire che questa guerra – e ormai ogni guerra – non è in grado di risolvere i problemi.
L’unica posizione politica da prendere non può che partire da una constatazione: è impossibile una soluzione militare del conflitto che veda un vincitore e uno sconfitto. Impossibile, ma anche non auspicabile.
Perché una vittoria militare russa sarebbe la vittoria della violenza sulla legalità internazionale; e perché, per contro, una sconfitta russa aprirebbe a Mosca una fase di revanscismo e di instabilità che non è certo da augurare né all’Ucraina, né all’Europa, né al mondo.
Se è impossibile una soluzione militare occorre operare per un cessate il fuoco i cui termini partano realisticamente dalla situazione concreta, ma si orientino verso una visione di superamento di questa situazione.
Occorre tenere conto – che ci piaccia o no – del fatto che siamo tornati a una contrapposizione tra Russia e Stati Uniti simile a quella del tempo della guerra fredda; in questo contesto, allora, è ragionevole che tra i due campi opposti ci sia – almeno provvisoriamente – una fascia di neutralità.
In questa prospettiva, sembra del tutto inopportuno prevedere oggi l’ingresso nella Nato della Finlandia e della Svezia. Io credo che, se in sede di ratifica della domanda di adesione di questi due Paesi tradizionalmente neutrali, il nostro Parlamento proponesse una moratoria e si pronunciasse per la prospettiva di una fascia 'smilitarizzata' (in qualche senso) dal Baltico al Mar Nero si avrebbe un importante segnale di una scelta europea di 'pacifismo politico'; non certo una scelta di equidistanza tra aggredito e aggressore, ma nemmeno quella di allinearsi (di fatto acriticamente) con chi proclama la guerra santa, magari lasciandola combattere al popolo ucraino.
E ad un cessate il fuoco stabile – immediato, senza condizioni preliminari, monitorato e controllato dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) – potrebbe anche seguire un progressivo allentamento delle sanzioni parallelamente alla convocazione di una Conferenza internazionale all’interno della quale si richieda a Mosca il totale ritiro delle truppe e del materiale bellico con una garanzia internazionale per la indipendenza e integrità territoriale dell’Ucraina; e si richieda altresì a Kiev la concessione di ampie autonomie nelle regioni con forti presenze di minoranze etniche, così come previsto dai princìpi dell’Osce. Spesso si sostiene che Putin non accetterà mai di trattare finché non avrà totalmente sottomesso l’Ucraina.
Può darsi; ma è anche vero che un reale e credibile tentativo di 'pacifismo politico' nel senso sopra delineato finora non è stato fatto; anzi, tutti i segnali – che sono essenziali nel linguaggio diplomatico – sono di segno contrario: dall’allargamento della Nato, appunto, alle manovre militari Nato in Estonia, alle tensioni lituane verso Kaliningrad. Se l’Europa sperimentasse la via del 'pacifismo politico' sopra delineato – a partire dalla moratoria sull’allargamento della Nato – potrebbe concretamente provare a sbloccare una situazione dalla quale, di fatto, tutti usciremo sconfitti.
Già sindaco di Firenze e già presidente della Fondazione Giorgio La Pira