Analisi preoccupate e concordanti degli esperti Nel mezzo della tempesta chi resta solo rischia di più e paga il prezzo più alto. È la situazione della Gran Bretagna che oggi, fuori dall’Unione Europea, sente i morsi dell’inflazione e della crisi economica più dei vecchi partner del Continente. La crescita dei prezzi si sta dimostrando nei consuntivi e nelle previsioni più forte e radicata di quella di Roma, Parigi e Berlino. Qui, a luglio, mese di fuoco dell’inflazione nell’Eurozona, il termometro si è posizionato sull’8,9%, mentre Londra è già oltre le due cifre a quota 10,1%. Le prospettive volgono al peggio: la Old Lady, la Banca d’Inghilterra, che ha già alzato i tassi d’interesse per sei volte consecutive, prevede per ottobre quota 13,3%, il centro studi Oxford Economics il 13% mentre gli analisti di Citigroup si attendono per gennaio addirittura un balzo al 18,6%. C’è da chiedersi perché uno scatto in avanti così repentino, quando l’inflazione in Gran Bretagna all’inizio della corsa aveva seguito un po’ la sorte degli altri Paesi europei: prima le conseguenze del rimbalzo delle economie post-Covid nel 2021, poi l’effetto-energia per la guerra in Ucraina.
Purtroppo per i britannici, ciò che rende i rincari più forti rispetto al resto d’Europa è l’«effetto Brexit». Sono in molti a certificare la correlazione tra i due fenomeni. Il primo è stato qualche giorno fa Adam Posen, ex Banca d’Inghilterra, e oggi direttore del prestigioso Peterson Institute di Washington: gran parte dell’inflazione britannica, sottolinea, è attribuibile alla Brexit e in particolare alle tensioni sul mercato del lavoro dovute alla frenata degli ingressi di manodopera straniera. Anche l’analisi di Oxford non lascia dubbi: «L’impatto principale in Gran Bretagna, così come in Eurozona, è da ascrivere ai beni energetici. Vi sono però altre evidenze che riconducono ad altri fattori, tra cui l’impatto che la Brexit possa avere sulla scarsità di risorse tra cui la disponibilità di lavoro».
Il meccanismo che ha innescato e innescherà nuovi costi e barriere all’ingresso in Gran Bretagna sta cominciando a mordere. Nemesi storica nel Paese che ha dato i natali a David Ricardo, l’economista che già dall’Ottocento predicava il vantaggio del commercio internazionale per evitare che prezzi e rendite profittassero delle barriere alle frontiere. Oggi c’è una sorta di 'sospensione' nei confronti dei prodotti dell’Unione, è prevista dall’accordo del dicembre 2020, ma a condizione che la merce non sia in transito da altrove, ad esempio dalla Cina, o che un qualche componente di fabbricazione sia extra-Ue.
Quest’anno, inoltre, rischia di essere cruciale: perché, secondo i piani del governo britannico, stanno scattando i controlli totali alle dogane, nei porti e alle altre frontiere: un’indagine parlamentare riferisce che i preoccupati operatori britannici stimano un ulteriore aggravio dei costi dovuto a modulistica e controlli aggiuntivi. Il rincaro funziona anche al contrario, ad esempio nel canale Inghilterra-Italia: basta provare a comprare on line dalla Gran Bretagna per accorgersi di sovrapprezzi e tariffe di spedizione apparse nel post-Brexit. Naturalmente l’aumento dell’inflazione rischia di avvitarsi nella più volte evocata spirale prezzisalari e di ridurre i consumi con effetti sulla crescita del Pil che in molti vedono già in calo nel quarto trimestre. Certo al di qua del 'muro' commerciale innalzato da Londra non sono tutte rose e fiori, ma l’Europa a 27, per quanto da sempre oggetto di critiche e dibattiti, può oggi puntare su una (pur faticosa) strategia coordinata di approvvigionamento energetico e ha mostrato in tempi recenti di saper essere unita su vaccini e Recovery Plan.
Chi sta nel 'Club dell’euro' ha comunque beneficiato della stabilità della moneta comune e soprattutto – vedi Italia – delle determinate politiche di acquisto di titoli di Stato da parte della Bce che hanno calmierato lo spread negli ultimi anni. Anche nelle situazioni più dure la cooperazione e il multilateralismo aiutano. Certo la sterlina, pur avendo lasciato da almeno un secolo la leadership al dollaro, è sempre la sterlina e il rapporto debito-Pil di Londra è all’87,8%, tra i più bassi d’Europa. C’è da chiedersi se l’Italia avesse ascoltato il verbo degli euroscettici e si fosse malauguratamente isolata dal 'Club dell’euro', con un debito che naviga intorno al 150% del Pil, come si troverebbe oggi...