Caro direttore,
il "fronte delle foreste" è all’attenzione di tutti per il movimento giovanile dei Fridays For Future, per il grande vertice che si è tenuto all’Onu e per il Sinodo per l’Amazzonia riunito da papa Francesco e in corso a Roma in questo mese di ottobre, ma almeno altrettanto per l’eco dei disastri in corso o previsti. In poco tempo, infatti, si sono susseguite notizie allarmanti su incendi di vaste proporzioni che hanno interessato le aree forestali più importanti della Terra: Canarie, Siberia, Amazzonia, Indonesia, Angola e Congo, e infine, se non bastasse, la notizia che il presidente degli Stati Uniti d’America vuole autorizzare la "valorizzazione" di una grande foresta nel sud-est dell’Alaska. È difficile dire se dietro questi fatti ci sia una tradizione locale di "fuochi controllati", estremi termico-udometrici, colpi di coda del grande business (prodotti agricoli, legnosi, minerari), oppure, se sia una prova muscolare del sovranismo contro il globalismo ambientalista, se non pura dabbenaggine di politici inesperti o semplice malaffare.
Certo è che quanto sta accadendo è inaccettabile per le società occidentali, stimolate dalla continua informazione e sensibilizzazione sugli effetti dei cambiamenti climatici e sulla importante funzione delle foreste nel ciclo del carbonio, dell’acqua, nella conservazione della biodiversità e via dicendo. Piaccia o non piaccia, le moderne società occidentali, inurbate, scandiscono i valori delle foreste secondo questa gradualità decrescente: ambiente, turismo e ricreazione, paesaggio, produzione di beni diretti (legno, funghi, frutti, ecc).
La comunità scientifica, a partire dal celebre saggio di Rachel Carson "Primavera Silenziosa" alla fine degli anni 60 del Novecento, ha lanciato l’allarme sulla crisi ambientale. La Chiesa cattolica non è stata da meno: le prime prese di posizione delle Conferenze episcopali sono degli anni 70. L’impegno dei Papi con i loro documenti è innegabile, ma certo papa Francesco sta dando un impulso al tema ambientale con le coraggiose prese di posizione espresse nella Laudato si’ anche se, come ha precisato in una intervista alla "Stampa" (9 agosto 2019), non è un’enciclica verde, ma è un’enciclica sociale, che si basa su una realtà "verde", la custodia del Creato.
Con il Sinodo per l’Amazzonia che si chiude il 27 ottobre la Chiesa ha deciso di affrontare una nuova importante sfida, offrendo un momento di grande visibilità e di attenzione non solo per gli argomenti in discussione, ma anche per la fibrillazione mediatica innescata dal perdurare del grande incendio nella foresta amazzonica. Non va dimenticato che trenta anni fa il Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli dava vita alla Giornata per la custodia del Creato, e parlava di un nuovo peccato del nostro tempo, quello appunto contro il Creato. Le Giornate per la custodia del Creato, nate in Italia nel 2006, rischiano tuttavia di essere afone. Ai contributi concreti e originali sembrano preferirsi percorsi già tracciati da altri, se non superati, o addirittura ambigui. Non si tratta di assolvere a un obbligo burocratico, né di cercare occasioni per "rinverdire" la Chiesa, ma di porre mano al cambiamento degli stili di vita, andando cioè alla radice della crisi ambientale, che è quella morale come più volte ha richiamato il Magistero dei pontefici.
Si impongono scelte di fondo coraggiose. Significa intraprendere un processo, personale prima che comunitario, di riconciliazione, che ha varie tappe. Prima di tutto con se stessi; le proposte del patriarca ecumenico Bartolomeo I non dovrebbero essere ignorate dai cattolici: riconsiderare le "pratiche ascetiche" non dovrebbe riguardare solo i religiosi ma tutti, nell’ottica di una vita più sobria e quindi di minor impatto sul Creato. Quindi riconciliarsi con Dio sul piano della storia, con gli uomini e infine con il Creato. Solo allora ci potranno essere risultati concreti ed efficaci.
È innegabile che sia più facile affrontare la questione ambientale con messaggi moralistici di "non fare", ma il rischio che questi facciano la fine degli appelli ai fidanzati di non avere rapporti sessuali prima del matrimonio, è alto. Ridurre il consumo della plastica o impegnarsi nella raccolta differenziata, non sono gesti distintivi dei cristiani, sono segni di civiltà e di educazione di tutti i cittadini, ai cristiani si chiede qualcosa di più e di più specifico.
È necessario un approccio operativo diverso per affrontare la questione ambientale. In modo più puntuale significa, intercettare altre sensibilità e culture (non è anche questa una Chiesa in uscita?), prendere coscienza comune di ciò che accade, far fronte ai temi importanti su base scientifica, dando – e questo sarà il contributo originale – una lettura cristiana dei fatti che accadono, suggerendo nuove strategie di azione per non provocare più guasti al Creato e per riparare quelli già fatti. La funzione profetica dei cristiani, in questo momento storico, passa anche attraverso la questione ambientale.
Diacono permanente, già professore ordinario di Selvicoltura all’Università Mediterranea di Reggio Calabria