L’Occidente ha ancora un’anima? Sembrerebbe di sì se l’80% degli italiani – e molti in altri Paesi europei – si dicono favorevoli ad accogliere i profughi afghani. Intanto, però, nonostante il diverso parere espresso ieri da Mario Draghi, i ministri dell’Interno della Ue programmano di scaricare tale accoglienza su Pakistan, Uzbekistan, Turchia… Non basta, insomma, che molti occidentali abbiano un’anima: occorre che quest’anima ispiri un progetto. Oggi l’Occidente non è più un impero e cioè un grande potere politico-economico che controlla il resto del mondo, nella forma del colonialismo europeo o del post-colonialismo americano. È invece indubbiamente una grande civiltà, ma non basta esaltare il suo antico patrimonio culturale e ideale per assicurargli un futuro. È necessario che Usa ed Europa abbiano un progetto.
Finito il traumatico ritiro da Kabul, Joe Biden insiste che non è stata una scelta estemporanea. Ha significato archiviare il mondo post-11 settembre, dominato da terrorismo e guerra al terrorismo, in cui gli Usa hanno finito per essere contaminati dalla logica degli avversari. Quel «noi contro loro» – come ha spiegato Ben Rodhes, già consigliere di Obama, su 'Foreign Affairs' – che è una politica dell’odio che ha radicalizzato l’iniziativa internazionale americana, e anche gli affari interni. «Noi contro loro» ha spinto a inseguire e colpire ovunque i terroristi, innestando una contrapposizione radicale tra Occidente e mondo islamico tout court e che, di riflesso, ha favorito l’obiettivo terrorista di spingere l’islam tout court contro l’Occidente. Insieme, la politica dell’odio ha avvelenato la politica interna occidentale, alimentando populismo e sovranismo, xenofobia e razzismo, complottismo e no-vax, fino alla polarizzazione trumpiana che ha spaccato gli Usa e provocato l’assalto a Capitol Hill. Se le cose stanno così, se cioè il tumultuoso ritiro dell’Afghanistan segna la fine del «noi contro loro», tale ritiro ha rappresentato una pessima fine e un ottimo inizio.
Ma inizio di che cosa? Come deve essere il mondo che archivia il post-11 settembre? Qui entra in campo l’Europa. Si è parlato molto di comune difesa europea in risposta al presunto neo-isolazionismo americano. L’idea è buona, le motivazioni no. Come si è visto, la scelta di Biden non esprime un isolazionismo 'di sinistra' dopo quello trumpiano 'di destra' e non c’è ragione di separare il futuro di Ue e Usa. Inoltre, per avere un esercito comune non basta la paura del nemico.
De Gasperi e gli altri padri fondatori nel 1952 volevano la Comunità europea di difesa in primis perché così i popoli europei non si sarebbero più fatti la guerra e solo in secondo luogo per la difesa contro il nemico.
Creare un esercito comune, infatti, significa condividere sovranità, come i Paesi europei hanno già fatto in molti modi e in particolare adottando l’euro e realizzare una difesa comune rafforzerebbe la sovranità di tutti. Non è importante solo per l’Europa ma anche per il mondo. Dopo aver proclamato il fallimento dei processi di nation building – ma quanto sono stati tentati davvero? – è forse venuto il momento di 'esportare' la lezione europea della condivisione della sovranità, che ha garantito settantant’anni di pace al Vecchio Continente. Lo si sta oggi cercando di fare con l’Afghanistan.
Vanno in questa direzione i tentativi di Macron e Draghi, che ieri non casualmente si sono incontrati a Marsiglia. Il presidente francese, sostenendo la proposta franco-inglese per un ruolo stabile dell’Onu, e il premier italiano, intensamente impegnato per un’iniziativa del G20, cercano di realizzare una responsabilità condivisa della comunità internazionale nei confronti dell’Afghanistan. Significa intaccare il dogma della sovranità nazionale, ma tale dogma – nella sua forma assoluta – si sta rivelando sempre più pericoloso nel mondo globalizzato.