Ancora Francis Fukuyama. Dopo averci ammannito nel 1992 con la tesi della «fine della storia», ipotizzando che il sistema politico liberaldemocratico della fine del XX secolo avrebbe rappresentato il momento culminante e terminale della lunga evoluzione storica dell’umanità, una tesi che era la spumeggiante celebrazione in presa diretta - come una majorette al Superbowl, la finale del campionato di football americano - della vittoria della squadra dell’Occidente sulla Russia sovietica e il comunismo, Fukuyama torna sul luogo del delitto: la geopolitica ridotta a stadio di tifoserie pseudointellettuali. Per ammonirci, in una intervista resa nei girni scorsi a un a testata italiana, che «Mosca deve essere sconfitta, perché solo così conterremo la Cina».
«Che dopo la caduta del comunismo ci siamo compiaciuti un po’ troppo» (anche lui), e che la democrazia liberale, minacciata dentro e fuori, sta realizzando di non essere più «la forma definitiva di governo nel mondo», perché Cina e Russia non accettando la fine della storia - che evidentemente non c’è stata - mostrano il tramonto dell’ordine unipolare a trazione americana. Bene, meglio tardi che mai questa presa d’atto che la storia non è finita, e bene che venga da parte di chi aveva teorizzato che l’evoluzione storica ha una sua razionalità guidata dai princìpi del liberalismo e che qualsiasi sistema totalitario offensivo dei diritti dell’uomo era condannato al fallimento istituzionale.
La cronaca degli ultimi trent’anni, fatti che hanno la testa dura, si è premurata di renderci edotti, grazie al 'balzo' cinese sulla scena mondiale, sostenuto da quell’economia, che non è proprio così; che questa teleologia della storia a favore dei 'valori' dell’Occidente non esiste. E che quei valori hanno urgente bisogno di essere reinterpretati, e che i loro portatori, cioè noi occidentali, non possiamo esimerci dalla fatica del concetto e dell’azione di come portarli avanti in modo credibile e sostenibile per il mondo globale. Magari accettando la realtà di un mondo abitato da diversi 'grandi spazi' di civilizzazione (per cultura, politica, religione, economia) tutti entrati grazie alla globalizzazione nella 'grande storia', raggiungendovi l’Occidente che vi si era già installato da secoli. Cosa da cui discende l’urgente necessità di pensare e praticare un mondo multipolare in senso cooperativo, governando le ovvie e anche drammatiche tensioni del processo; e non cavalcandole per creare un dissennato mondo duale tra l’Occidente e (fondamentalmente) tutti gli altri.
Ebbene, quale è la proposta di Fukuyama - sceso di nuovo in campo, questa volta nell’intervallo di una partita evidentemente non finita, per sostenere la propria 'squadra'? Precisamente che l’Occidente deve usare il conflitto come fondativo di un nuovo ordine duale del mondo, dove non bisogna «concedere, per interesse (l’errore fatto con i russi che stiamo pagando in Ucraina) ai propri rivali strategici leve economiche che possano poi essere usate come armi politiche», e che va gestita, finita la guerra fredda, una nuova divisione del mondo in blocchi, dove «non contano più le vecchie divisioni tra destra e sinistra, ma lo scontro tra dittatura e democrazia, contrapposizione più sul piano politico-valoriale che economico».
E che «probabilmente un alto grado di interdipendenza tra rivali strategici come Usa e Russia, o Cina, non era una buona idea e il libero scambio deve avvenire tra società che condividono gli stessi valori di base su libertà e democrazia». In sostanza, poiché la globalizzazione economica non va secondo i piani, e gli 'altri' sono competitivi come noi, anzi ci passano d’avanti, nella globalizzazione bisogna starci ognuno con il suo 'supermercato', difeso e sorvegliato agli ingressi da guardie armate. Insomma, è l’indirizzo politicomilitare quel che va imposto al mercato, che non deve essere più unico, della globalizzazione.
Tesi che per un liberale e un liberista non è male. Ma soprattutto, reclama Fukuyama, si tolga di mezzo la solita, vecchia contrapposizione tra ricchi e poveri, perché conta quella tra democrazie e autocrazie, cioè tra chi nei due blocchi decide chi sono i ricchi e chi sono i poveri... No, meglio continuare a spendersi per orientare in altro modo la storia comune dell’umanità.