Di tanto in tanto nel nostro Paese emerge ancora un cuore profondamente allergico alle polemiche e agli usi strumentali di ciò che accade. Ci sono casi di cronaca grazie ai quali riscopriamo di essere comunità, torniamo a vedere la capacità della nostra gente italica di sentire all'unisono e senza divisioni e vinciamo sul nostro difetto cronico di metterci gli uni contro gli altri. Penso a esempi clamorosi e ancora recenti: quelli dei tre vigili del fuoco morti in provincia di Alessandria per l’incendio delinquente provocato da un uomo a caccia di soldi e che voleva truffare la propria assicurazione, e penso al piccolo Giovanni, il bimbo di 4 mesi affetto da Ittiosi Arlecchino, prima voluto dai genitori e poi non riconosciuto, che ha iniziato a beneficiare da parte di sconosciuti di donativi versati sul conto corrente aperto a suo favore dal Comune di Torino e di una gara di solidarietà per assicurargli un tetto, cure, affetto.
Mi chiedo, perché in queste situazioni diamo il meglio di noi stessi e in altre invece, magari anche a proposito della predicazione del Papa, siamo intrattabili, individualisti, soggetti che seminano solo sospetto e divisione? Perché se si parla di Amazzonia, di dottrina sociale cristiana, di avere a cuore la difesa del pianeta, ci si divide in pro e contro le statuine Pachamama, e invece tutti senza esitazione plaudiamo ai Vigili del Fuoco che hanno avviato una raccolta fondi per sostenere i familiari dei tre colleghi morti nell’esplosione della cascina di Quargnento, e se possibile collaboriamo?
La mia risposta è questa: muove il bene umile che abbia una faccia, e per il quale io possa dire che quel volto senza il mio aiuto viene meno, non ce la fa, muore. Respinge invece, e crea divisione, un problema enorme che percepisco come distante, come qualcosa che non mi riguarda e per il quale all’apparenza non posso fare nulla di significativo: nel caso di questo secondo scenario, in tempo di social, è facilissimo millantare l’esistenza di qualche lobby nascosta che per sconosciuti moventi economici e di potere porti avanti propri interessi oscuri che sarebbero il vero combustibile ideologico di tutta la faccenda.
Meditavo su queste cose proprio ieri con un gruppo di amici. In quel momento veniamo a sapere di una famiglia numerosa del Sud America che, trasferitasi in Italia a causa della gravissima crisi economica che sta piegando la loro terra di provenienza, non ha neppure le lampadine per la luce elettrica e deve lesinare sul quaderno di cui il figlio più piccolino ha bisogno per disegnare alle primarie. Subito uno di noi ricorda di avere nel proprio ufficio molti quaderni di carta inutilizzati che stava per mandare al macero e si fa avanti: ci sono io, esclama. Ecco che si realizza nella pratica quanto stavo affermando.
Noi stavamo parlando di un bambino, non dei conflitti tra Nord e Sud del mondo; parlavamo di un papà con nome e cognome che raccontava in confidenza dignitosa la propria fatica, non stavamo riferendo di una conferenza stampa organizzata da professionisti dell’informazione. E così, quando un volto reale ci interpella, quando capiamo che senza di noi quella famiglia avrà buio in casa dalle diciotto della sera alle sette del mattino, scatta la verità del nostro essere umani.
Allora non perdiamo tempo interrogandoci per quale oscuro, ingiusto o recondito motivo la gente emigri, vediamo un bimbo che non può disegnare, anzi che non può disegnare 'senza di noi': e noi, proprio noi che a volte ci gratifichiamo col limitarci a essere 'leoni da tastiera', capiamo che possiamo staccare le dita dal pc, alzarci dalla poltrona, dirigerci all’armadio e salvare dal macero quaderni che possono far contento un bimbo e i suoi genitori.
E non c’entrano più nulla le politiche sbagliate di Trump e l’America del Sud, e perfino Salvini e Renzi e Conte che litigano, rimangono chiusi dentro il nostro smartphone. Perché sentiamo la voce di un bimbo, il pianto dei familiari dei vigili dei fuoco: ed è più forte di qualsiasi suoneria elettronica.