«Fase due» o «fase tre» anche per il gioco d’azzardo? Il Decreto Rilancio ne tratta solo per le scommesse: con un prelievo aggiuntivo destinato a finanziare un “Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale”. Si vedrà se qualcuno prenderà la palla al balzo per una deroga al divieto di pubblicità, che finora tutto sommato è stato rispettato.
Ma sul complesso della megamacchina della Fortuna, di quel che è accaduto ad essa durante la pandemia che ha imposto la chiusura dei locali, alcuni dati cominciano a esser conosciuti. I Monopoli, per la voce dell’attuale direttore Marcello Minenna alla trasmissione Rai “Unomattina” dell’11 maggio scorso , hanno dichiarato che la flessione del consumo di alea si aggirerà sul 40 – 50 per cento a saldo di fine anno 2020. Non solo per la chiusura delle sale per slot e scommesse, ma per tutta la gamma, comprendente anche le modalità on line. Insomma, persino la raccolta via web ha risentito dell’astinenza di parecchie persone “compulsive”. Non potevano varcare le soglie dei locali, ma non per questo hanno compensato ricorrendo al terminale “da remoto”, cioè a un computer o a uno smartphone.
Spontaneamente, insomma, la gran parte dei giocatori “abitudinari”, dopo la chiusura delle agenzie, hanno smesso di puntare su eventi sportivi, quando pure sarebbe stato loro possibile via internet. Avrebbero potuto versare denaro su “conti di gioco” on line, ma la maggior parte non lo ha fatto. Né del resto si sono verificati granché “passaggi” dalle scommesse ai casinò virtuali, cioè sul web. Tutto il comparto del gioco d’azzardo, dunque, è finito in recessione: senza che si registrino vistose manifestazioni di quella “crisi da astinenza” da parte dei gamblers patologici che qualcuno paventava.
Pochi giorni fa era circolato il testo (poi cassato) di un articolo del Decreto approvato ieri, dove l’estensore ministeriale aveva lamentato “un rilevantissimo depauperamento delle entrate del settore, ivi compreso quello del gioco a distanza”. Negli apparati di via 20 Settembre ci si era spinti a evocare un possibile impatto sugli “equilibri finanziari”. Affermazione questa, presentata come assiomatica, che in realtà è discutibile, e per ora non recepita dal governo. Ragioniamo comunque sulle quantità oggettive.
Ebbene, le proiezioni statistiche indicano che a fine anno risulterà un volume di consumo di azzardo che sarà ritornato al dato del 2010: circa 61,5 miliardi di euro. Una cifra, quella, che fu giudicata enorme già allora, ma che è poi quasi doppiata nel 2019, quando si è pervenuti a un “saldo” di 110 miliardi e mezzo.
Il paradosso è che due lustri addietro lo Stato ricavò in tutto 8 miliardi e 730 milioni, mentre lo scorso anno si è attestato a 10 miliardi e 612 milioni. Per incamerare un “delta” di un miliardo e 900 milioni aggiuntivi, infatti, i Monopoli hanno spinto gli italiani a giocare ben 50 miliardi in più annui. In poche parole: a consumo crescente, entrate relative decrescenti. Oppure, meglio, per avere un incremento assoluto di margini fiscali si è “pompato” uno “spread” di lotterie e scommesse pari a ben 82 punti percentuali.
Gli economisti più attenti lo sapevano bene: a raccolta “lorda” incrementata corrisponde incasso erariale più basso in peso percentuale: da 14,2 punti a soli 9,6, per l’appunto, tra il 2010 e il 2019. Tali sono, ripetiamo, i “margini” effettivamente andati all’Erario. Davvero quindi ripristinare l’assieme dei giochi con denaro, in un ciclo continuo, appare un segno di “ripartenza” indispensabile? Solo manipolando la comunicazione, come appare da alcuni esempi, per ora timidi.
Un primo subliminale messaggio in tal direzione è stato la comparsa di immagini dell’estrazione in diretta televisiva del Superenalotto, accompagnata dall’esibizione (al limite della pubblicità indiretta) dei tagliandi di Lotto e Gratta e Vinci: nelle trasmissioni di successo, anche della tv pubblica. È ritornato l’uso di una parola che suona qual dispositivo per il riaccreditamento: “Tradizione”. La tradizione degli appuntamenti con le estrazioni. Il ritorno di lotterie, scommesse e altri rendez–vous con la Fortuna, da percepire quali riti della “normalità” riguadagnata al costume italico.
Nei mesi del “restiamo a casa” gli italiani sono stati espropriati dei loro sogni di scommettitori? E quando, finalmente, si potrà rivolgere la testa ai simboli delle fantasie proiettive? Come fare senza la Smorfia e le icone della dea bendata, che abbiamo ereditato dalla Genova del ‘600 e dalla Napoli di Matilde Serao? Nostalgia del passato: come se i 51 nuovi tipi di giochi d’azzardo, immessi in commercio dalle holding industriali dell’azzardo dal 1994 a oggi, fossero la versione attuale della “tradizione” nostrana.
Di là delle congetture dall’incerto fondamento, vi è una ragione strutturale che rende impossibile una recovery di tale business. I provvedimenti del “blocco totale” hanno causato al gambling un “giovedì nero” simile a quello di Wall Street del ‘29. Il relativo mercato si era moltiplicato (in Italia) di undici volte da inizio secolo, ma poggiava su un sistema analogo a quello delle piramidi finanziarie: montato sulla crescita esponenziale delle scommesse, delle lotterie, delle sale da gioco. Doveva moltiplicarsi costantemente nel volume lordo, ed è invece crollato. Un dato inconfutabile.
E lo Stato, dal canto suo, perde un gettito “irrinunciabile”, adesso nell’emergenza? Calcoli alla mano, più che dai giochi d’azzardo le entrate fiscali e tributarie si sono ridotte per il blocco di gran parte delle attività economiche e dunque per il taglio enorme al prodotto interno lordo. Il crollo dei consumi per beni durevoli e dei servizi, compresi quelli alla persona ha comportato una corrispondente caduta del gettito Iva, di quello delle accise (per esempio sui carburanti) e molto altro ancora.
Ma adesso c’è un’opportunità, che saggiamente va colta: per muovere il volano dell’economia. Con la ripartenza, infatti, si calcola che sarà disponibile uno stock di almeno 30 miliardi di euro per consumi che le famiglie non hanno potuto effettuare per la serrata del commercio. Il dilemma è netto: verranno spesi in direzione dell’offerta di beni e servizi dell’economia reale, o saranno dirottati verso consumi “senza valore d’uso”, come quelli di giochi d’azzardo?
Oltre alla salute delle persone, in definitiva, si presenta un problema di equilibrio tra sicurezza sanitaria, benefici per l’occupazione, contributo al gettito erariale. Non sappiamo quanto la task–force governativa abbia realizzato un banco di prova tra i diversi settori della produzione e del commercio, per quindi ordinare in una sequenza appropriata le ripartenze dei vari comparti economici. Certo è che la priorità all’azzardo sarebbe una scelta temeraria.