Neanche un prete per chiacchierar
venerdì 25 ottobre 2019

«Neanche un prete per chiacchierar!». Così cantava Adriano Celentano su testo di Paolo Conte, ancor prima che sbocciassero gli anni 70 nel famoso e lontano maggio 1968. La situazione, da allora, è peggiorata, drammaticamente. E questo è sotto gli occhi di tutti: altro che accompagnamento personale, come giustamente si è detto al Sinodo sui giovani e nei documenti che prima, durante e dopo si sono prodotti, non ultima l’esortazione Christus vivit di papa Francesco.

Mi sono deciso a condividere questi pensieri, provocato dalla lettura del bell’articolo del professor Roberto Carnero pubblicato da "Avvenire" di mercoledì 23 ottobre. Oggi quel verso di 'Azzurro' vorrei rilanciarlo come un grido che spunta da tante 'bocche', nella speranza che non sia un urlo di Munch che cade nel vuoto. Vorrei lasciarmene provocare anch’io, nuovamente, ma vorrei che il grido trafiggesse il cuore dei confratelli sacerdoti, qualunque sia il loro ministero; vorrei che giungesse anche al cuore dei nostri vescovi e di quanti si dedicano alla formazione iniziale e permanente dei sacerdoti. Credo sia giusto, anche se doloroso, fare un serio esame di coscienza e fare il 'mea culpa', da persone serie quali siamo. È vero, ci sono tanti motivi per cui nel nostro ministero trascuriamo l’ascolto: siamo pochi, siamo ingolfati in mille faccende, ci affanniamo… e se ne potrebbero aggiungere altri. Ma siamo sicuri che sono questi i motivi principali? Siamo sicuri che questi sono i veri motivi? E anche se fosse così, niente deve costituire un alibi, piuttosto deve spingere a una seria riflessione e a un attento discernimento.

Se saremo onesti, dovremmo cominciare a ipotizzare presto, prima che sia troppo tardi, un cambio di rotta nelle nostre priorità, nelle nostre agende pastorali e nel nostro stile di vita e di ministero. E qualcosa deve necessariamente modificarsi e rinnovarsi anche nei nostri itinerari formativi, nei luoghi dove si formano i pastori e nella formazione dei formatori. Come mai, a proposito, ci si preoccupa di qualificare i preti in tante mansioni, ma non ci si preoccupa a sufficienza di qualificarli, per esempio, nell’arte dell’ascolto, della direzione spirituale? E come mai tra i preti, anche giovani, non sono molti quelli che si dedicano volentieri al ministero della Confessione? Siamo sicuri che confessiamo poco perché è in crisi il Sacramento? O sono in crisi i confessori? Certo, la Confessione è in crisi soprattutto tra i giovani e gli adulti, ma se qualcuno di loro volesse confessarsi, è diventata un’impresa ardua trovare la disponibilità...

Intanto, certamente non è in crisi la domanda di ascolto e di accompagnamento personale; e questa domanda è trasversale: dai ragazzi, ai giovani, agli adulti, agli anziani... Ed è una domanda che cammina sia in modo implicito – non dovremmo essere attrezzati e pronti a intercettarla ugualmente? – ma anche in modo esplicito. Tra l’altro per esperienza sappiamo che tante volte – anche a noi forse capitò così – proprio offrendo un ascolto attento, rispettoso, sobriamente caldo e affettuoso, si fa spazio nell’altro il desiderio della Confessione? Eppure, neanche 'mezzo' prete per chiacchierar! Reverendi amici e confratelli, in basso e in alto, scusate l’irriverenza, ma non vorrei che avessero ragione anche Cochi e Renato che negli stessi anni cantavano: «Facciamo finta che tutto va ben».

Sacerdote, padre spirituale e psicologo

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