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La locuzione «questione meridionale» è stata utilizzata la prima volta nel 1873 dal deputato radicale Antonio Billia per indicare la disastrosa situazione economica del Mezzogiorno in confronto alle altre aree dell’Italia unita. Dopo circa 150 anni dobbiamo constatare che, pur nell’enorme sviluppo che si è avuto, persistono significative differenze che riguardano molti aspetti economici e sociali della vita delle persone che inevitabilmente si ripercuotono con effetti negativi sui bambini e ragazzi che vivono nelle regioni del Sud e delle isole. In Italia il reddito medio decresce secondo l’asse principale della Penisola, dal Nord al Sud, e nel Mezzogiorno, che rappresenta circa il 40 per cento della sua superficie territoriale, risiede circa un terzo della popolazione.
Mentre nel passato l’elevata natalità del nostro Paese era tipica delle regioni meridionali, negli ultimi anni la denatalità, pur interessando tutto il territorio nazionale, ha riguardato in particolare il Mezzogiorno dove l’indice di fecondità (numero di bambini per donna in età fertile tra 14 e 49 anni) ha raggiunto un valore inferiore a quello medio nazionale di 1,27. Le cause sono dovute a molteplici fattori, ma un ruolo importante è svolto, come è noto, dalla storica mancanza del lavoro che spinge intere giovani generazioni a emigrare nelle Regioni del Centro-Nord o all’estero. I giovani che rimangono, per l’incertezza di un futuro rinviano molto spesso, e talora per sempre, la decisione di sposarsi o convivere e mettere in cantiere nuovi figli. L’attuale pandemia da Covid-19 sta aggravando questa situazione, come le rilevazioni Istat hanno già segnalato, ed è prevedibile una ulteriore diminuzione della natalità.
Inoltre, i bambini che nascono nel Mezzogiorno, che sono il 35 % di tutti i nati italiani, sono a maggiore rischio di salute. Un bambino che nasce nel nostro Sud, nel primo anno di vita, ha un rischio del 47% in più di morire rispetto a uno nato nel Nord-Est. Se nel 2017 l’Italia avesse avuto la stessa mortalità del Nord Est sarebbero sopravvissuti nel primo anno di vita 195 bambini nel Sud e Isole (Istat). Gli stessi bambini figli di genitori immigrati, che hanno tassi di mortalità infantile maggiori dei figli di genitori italiani, hanno una peggiore prognosi soprattutto se nascono nel Mezzogiorno. Le ragioni dell’aumentata mortalità infantile riconoscono molti fattori ma, oltre a cause economiche e sociali, è ben evidente nel Meridione d’Italia la carente organizzazione sanitaria e delle cure che sono peggiorate negli ultimi anni anche per i piani di rientro del deficit economico che hanno portato a una riduzione significativa dei finanziamenti in sanità.
Ogni anno centinaia di migliaia di persone dalle regioni del Mezzogiorno si recano per curarsi nei centri sanitari del Centro-Nord. E anche questo è un fenomeno noto. Tale migrazione sanitaria riguarda non solo gli adulti ma anche i bambini, spesso affetti da malattie gravi, e determina profonde sofferenze per il distacco dal luogo di origine, problemi economici nelle famiglie per le spese del trasferimento e difficoltà di lavoro dei genitori per l’allontanamento dalla loro sede. Inoltre le Regioni meridionali, per questa migrazione sanitaria, si trovano costrette a rimborsare, attraverso il meccanismo della compensazione tra Regioni, le prestazioni mediche a cui si sottopongono i propri abitanti altrove. Ogni anno le Regioni del Sud perdono una significativa parte del loro budget a causa dell’emigrazione sanitaria dei propri abitanti che potrebbe invece essere investito localmente in strutture e professionalità.
Infine va ricordato che in Italia nel 2019 la povertà assoluta (che secondo l’Istat si ha quando non si può affrontare una spesa mensile sufficiente ad acquistare beni e servizi considerati essenziali per uno standard di vita minimamente accettabile) ha interessato 1 milione 137mila minori e ha riguardato soprattutto quelli che vivono nel Mezzogiorno. È ben noto che i bambini che vivono in famiglie povere si ammalano più frequentemente e presentano più spesso problematiche che possono compromettere il loro sviluppo. Secondo un recente studio di Save the Children la situazione sociale, aggravata dalla pandemia, porterà a raddoppiare il numero dei bambini in povertà assoluta alla fine del 2020.
La didattica a distanza con lezioni in diretta su varie piattaforme, anche se ha svolto un ruolo importante, ha messo in maggiore evidenza le disuguaglianze sociali e culturali preesistenti la pandemia, e anche questa volta i bambini delle Regioni meridionali hanno sofferto maggiormente di tale situazione essendo spesso esclusi dalle video-lezioni per la mancanza di computer e di con- nessioni (Censis). Le principali conseguenze della pandemia da Covid-19 su bambini e ragazzi non sono state dirette sulla loro salute, dal momento che generalmente hanno presentato forme cliniche di lieve-media gravità, ma i danni maggiori si sono avuti per gli effetti del confinamento. Questi hanno riguardato soprattutto i minori che vivono in famiglie con basso livello socio-economico, e quindi inevitabilmente hanno interessato le Regioni del Mezzogiorno.
I fondi previsti dal Next Generation Eu rappresentano una occasione unica e forse irripetibile per la ripartenza del nostro Paese. Prioritaria, come è stato ricordato più volte sulle colonne di 'Avvenire', è l’attenzione che deve essere data ai giovani e alle famiglie. È fondamentale correggere il grave divario esistente tra Regioni e migliorare sia l’organizzazione sanitaria sia l’educazione, iniziando dagli asili nido, quasi inesistenti nelle aree meridionali. Va finalmente e stabilmente modificata l’organizzazione del lavoro e delle politiche fiscali in favore delle famiglie con figli. E bisogna saper introdurre provvedimenti per aiutare il lavoro dei genitori, e soprattutto favorire la possibilità di conciliare il lavoro con la famiglia e di poter disporre, a bassi costi, di servizi per l’infanzia. Un aiuto alle giovani coppie non va visto solo come un dovere sociale ma anche come un investimento strategico per ridare impulso alla piramide demografica.
Solo con un contrasto alle disuguaglianze e correggendo la critica situazione del Mezzogiorno il nostro Paese potrà ripartire. È prioritaria la promozione della natalità perché lo sviluppo di un Paese non può essere distinto dallo sviluppo demografico. I bambini soprattutto nel Mezzogiorno sono necessari per garantire il mantenimento in Italia di un’organizzazione sociale che rischia di non essere non più sostenibile in un prossimo futuro se la politica non torna a pensare a una ripresa delle nascite. L’investimento nell’infanzia è il più efficace, duraturo e il miglior contributo alla ripresa economica e allo sviluppo di una società.
Pediatra, direttore Dipartimento materno infantile Università di Roma La Sapienza