Sembra passato un secolo. E invece è trascorso un solo anno. E questo nostro Paese, lo stesso che la scorsa estate era prigioniero di convulsioni, con i titoli della politica dedicati al cocktail chiamato mojito e a un dibattito incentrato sull’italianità o meno dei responsabili di fatti di cronaca nera, ha in questo inizio di settimana vissuto una giornata d’impronta europea che è, probabilmente, più di quanto potessimo sperare per passare dalla cultura miope e hobbesiana del "conflitto sulla torta da spartire" alla "civiltà della cooperazione" che richiede impegno e fatica ma gratifica e moltiplica forze e risorse a disposizione.
Dopo una difficile trattativa, l’accordo raggiunto a Bruxelles sul Recovery Fund stabilisce che la Commissione europea andrà sui mercati finanziari a raccogliere 750 miliardi da ripartire tra contributi a fondo perduto agli Stati (390 miliardi) e prestiti a tassi molto convenienti (360 miliardi). Ovvero userà la sua reputazione e merito di credito (superiore a quello italiano) per raccogliere fondi a costi più moderati e redistribuire risorse a chi ha più bisogno (ovvero a chi, come noi, è stato più colpito dalla crisi pandemica). La quota italiana è rappresentata da 82 miliardi di sussidi e 127 di prestiti. Superato il rischio del diritto di veto e dell’unanimità forzosa, la necessaria approvazione del Consiglio europeo a maggioranza qualificata e il controllo del Comitato economico e finanziario, a fronte di piani che dovranno essere dettagliati, convincenti ed effettivamente messi in atto, sarà una garanzia per i cittadini italiani che l’enorme quantità di denaro sia spesa bene nelle direzioni unanimemente considerate fondamentali per una ripresa sostenibile e resiliente (transizione ecologica, inclusione sociale, digitalizzazione, semplificazione). Se è vero che l’arrivo dei fondi sarà scaglionato nel tempo e ci vorrà ancora un po’ ad avviare il programma è anche vero che gli effetti dell’accordo si sono manifestati già oggi con una riduzione dello spread di circa 15 punti base e che forse, nella nuova situazione, riusciremo a emettere anche noi titoli di Stato a medio-lungo termine a tassi negativi.
La scommessa dell’accordo è che la Commissione ripaghi le ingenti somme chieste agli investitori sui mercati (incluse quelle "donate" a fondo perduto agli Stati membri) attraverso una nuova capacità impositiva fatta di web e border taxes. Ovvero che finalmente l’Unione Europea contrasti il dumping fiscale, sociale e ambientale che spinge le aziende ad andare a mettere la sede fiscale fuori dall’Unione o a produrre fuori Ue con bassi standard di dignità del lavoro, sostenibilità ambientale per fare poi concorrenza di prezzo alle imprese che rispettano invece i nostri principi di civiltà. Per questo la sfida del Recovery Fund è una sfida di civiltà che va persino oltre la questione della coesione tra gli Stati membri e si estende alla missione di una visione di politica commerciale fondata su dignità del lavoro, tutela ambientale ed equità fiscale. La storia ricorderà probabilmente la tragedia della pandemia di Covid-19 come l’evento in grado di convincere l’Europa a fare passi avanti nella realizzazione di politiche economiche cooperative ed espansive altrimenti inimmaginabili. Imparando una lezione i cui risultati migliori si protrarranno anche in tempi ordinari.
Da oggi, assieme a tutto il Paese, dobbiamo metterci al lavoro – siamo tutti convocati e coinvolti attraverso procedure di consultazione e partecipazione e il più vasto dibattito sui media dell’opinione pubblica – per la costruzione di piani e di progetti che siano capaci di cogliere cinque obiettivi allo stesso tempo: creazione di valore economico, creazione di lavoro, sostenibilità ambientale e sanitaria, ricchezza di senso del vivere.
Non dimentichiamo però, può sembrare paradossale ricordarlo in questo momento, che il successo della ripresa resiliente e generativa può dipendere da scelte e iniziative anche a costo zero. Il raggiungimento degli obiettivi del Recovery Fund sarà infatti molto più agevole se la rendicontazione finanziaria obbligatoria sarà estesa alle aziende sotto i 500 addetti e se le regole dei premi di produzione e dei bonus dei manager saranno finalmente adeguate ai nuovi obiettivi aggiungendo indicatori sociali e ambientali a quelli tradizionali.
Fondamentale sarà anche il successo dei nostri sforzi di semplificazione e riduzione di tempi e costi di burocrazia e giustizia civile, riuscendo a tenere assieme rispetto delle regole ed efficienza dell’economia. La lezione di questi tempi è però più profonda. Nella vita puoi essere Lionel Messi o Cristiano Ronaldo, ma se scendi in campo da solo hai già perso la partita. Da economisti 'civili' sappiamo che unire è sempre più difficile che dividere e decidere da che parte stare è un’opzione fondamentale... ma lavorare per creare cooperazione e solidarietà ci mette dalla parte migliore (anche se meno istintiva e più faticosa) della storia e della vita. Non dobbiamo dimenticarlo nemmeno nei giorni più difficili, quando traguardi e nuovi orizzonti come quelli aperti ieri sembrano lontani e non a portata di mano.