mercoledì 25 aprile 2012
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Gentile direttore,
ho letto la sua risposta a un lettore in merito alla morte e ai funerali di Piermario Morosini. Ho apprezzato il suo desiderio di voler evitare la retorica, come il sano e cristiano realismo delle sue parole: «Nella sua vita – tra umane contraddizioni, che tanti vivono, e tratti di lineare coerenza, che altri cercano e non sempre invano – c’era senso cristiano». Saremmo perduti se dimenticassimo la presenza di una Misericordia che sa farsi grazia tanto nella vita quanto nella morte. E altrettanto accadrebbe se volessimo ergerci a giudici delle intenzioni, specialmente di fronte al mistero della morte.
Mi pare che la liturgia della Chiesa rispetti queste nostre idee. Anzi, penso che essa tuteli profondamente quello spazio interiore che soltanto Dio ha potuto conoscere e giudicare. Lo fa attraverso la sobrietà, certo, ma recependo ed esprimendo il senso di debolezza e di abbandono che caratterizzano il nostro essere di fronte a quello che ci appare umanamente incomprensibile. Se ciò avviene anche nel mondo laico (funerali "civili", minuto di silenzio...), perché dovrebbe apparirci strano che possa essere proposto in quel contesto in cui si fa prossimo il silenzio di Cristo sulla Croce? Nel suo sacrificio c’è la risposta al nostro grido; nella sua vittoria il fondamento della nostra fiducia.
Se la liturgia è l’uscita dall’ordinario per entrare nello spazio di Dio, come possiamo non meravigliarci delle esequie sempre più ridotte ad affermazione mondana? Non ne faccio una questione di rubriche e di norme, quantunque esse ci siano date per esprimere correttamente il nostro "stare" davanti al Dio che si dona e che ci raggiunge.
Non cito neppure i testi del Magistero, le considerazioni di questo o di quel teologo, le prescrizioni in materia di canti liturgici, né tanto meno mi chiedo dove possano cominciare o finire le eccezioni, e neppure a qual grado di notorietà o di impatto mediatico esse debbano corrispondere. Mi pongo semplicemente davanti a questioni fondamentali che dovrebbero essere state acquisite da tutti i cattolici. La sobrietà non è assenza di comunicazione. Semmai è l’esatto contrario. Il rispetto delle norme liturgiche non è legalismo. È l’affermazione di una libertà più alta e più grande.
Forse il silenzio del Crocifisso ha un’eloquenza che non dobbiamo temere di far sentire, perché sa farsi strada da sola, quando non è soffocata dal clamore delle eccezioni... «Bisogna saper ascoltare, per capire davvero», lei scrive in chiusura. Appunto. Gradisca i miei saluti e l’augurio di ogni bene.
don Antonio Ucciardo, Catania
 
Leggo con attenzione queste sue parole, gentile don Antonio. Ricambiando con gratitudine la bella attenzione (e le citazioni, e gli auguri) che lei mi riserva. Credo che non la stupirà sentirsi dire che considero i suoi argomenti complementari a quelli che ho saputo usare per commentare le partecipi e suggestive riflessioni di un lettore (nonché alcune altre notazioni polemiche e amare) sui funerali di Piermario Morosini. Funerali – lo ripeto per scrupolo, e con scrupolo di cronista – che, nella chiesa bergamasca dove si è officiato il rito sacro, non sono affatto stati quella fiera 'mondana' che taluni resoconti altrove pubblicati possono aver evocato (anche involontariamente, magari maliziosamente, certo superficialmente). Quanto alle eccezioni liturgiche – due canzoni profane cantate durante la Messa – 'perdonate' ai giovani amici di oratorio del calciatore morto in modo così prematuro e drammatico, a mio avviso (per quel che vale) confermano – secondo un’antica saggezza popolare – la buona regola. Regola che è appunto orientata ad accompagnare il cristiano nell’«uscita dall’ordinario per entrare nello spazio di Dio». Regola che offre misura nell’accostarci allo smisurato, che propone bellezza e raccoglimento, che propizia vivo e caldo coinvolgimento. È per questo che la liturgia della Chiesa riesce a trasmettere senso e profondità, come lei assai bene ci ricorda. Da semplice fedele posso dire che è una gioia quando tutto questo – soprattutto nei momenti belli e gravi che scandiscono la vita dei singoli, delle famiglie e delle comunità – non resta solo nelle intenzioni e diventa celebrazione della Parola e dell’Eucaristia autenticamente partecipata e vissuta.
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