La tomba liquida dei bambini. Questa è diventata da anni la rotta migratoria del Mediterraneo centrale, tornata drammaticamente d’attualità a cavallo tra la fine del 2024 e primi giorni del nuovo anno. Negli almeno due naufragi accertati tra Lampedusa e la Tunisia si contano almeno quattro bambini dispersi in mare, i sommersi. Mentre i numeri e i volti dei 33 salvati dalla nave della società civile Resq-People Saving People confermano che una persona su quattro circa è un minore non accompagnato. Secondo l’Unicef, tra i 1.700 morti e dispersi nel 2024 solo sulla rotta del Mediterraneo centrale spiccano centinaia di bambine, bambini e adolescenti perché una persona ogni cinque di tutte quelle che migrano attraverso il Mare nostrum sono minorenni in fuga, da soli o con la famiglia, da conflitti violenti e povertà.
Le cifre, lo sappiamo da anni, sono utili ormai alle coscienze impegnate e agli addetti ai lavori. E sono certamente preziose per costruire una narrazione corretta che contrasti le strumentalizzazioni e i discorsi di odio che ricoprono le notizie drammatiche con una cappa di oblio. Ma per bucarla, quella cappa, ci vuole altro. Forse occorrerebbe una Spoon river mediterranea che raccontasse le storie dei naufragi davanti alle coste italiane. O, forse, la potenza delle immagini di altri film come “Io Capitano” che raccontassero i viaggi della speranza su altre rotte africane dei più vulnerabili.
Intanto possiamo cominciare con un’operazione basica di umanità per contrastare l’ignoranza alimentata dalla propaganda multimediale con la retorica dell’invasione (smentita dalle cifre) e con immagini perennemente emergenziali e messaggi allarmistici, allontanando dalle coscienze i drammi autentici.
Che sono quelle delle famiglie spezzate, delle madri che vedono annegare i propri bambini in mezzo al mare dopo il naufragio delle carrette su cui viaggiavano verso l’Italia. Dei bambini morti mentre stavano viaggiando per raggiungere genitori o parenti in un luogo sicuro dove poter crescere e realizzare un sogno come laurearsi, fare il medico o lo sportivo o il cantante. O quelli dei genitori che lasciano i figli per poterli poi chiamare in sicurezza e legalità con i ricongiungimenti e invece spariscono per sempre tra le onde, condannandoli all’immobilità magari in un campo profughi. Perché i morti in mare non li va a cercare quasi nessuno per identificarli e un bambino che non è legalmente riconosciuto orfano senza la firma dei due genitori non si sposta. Dell’orrore, degli stupri, delle violenze e delle torture cui vengono sottoposti i migranti di ogni età e sesso dalle gang di trafficanti per estorcere riscatti alle famiglie abbiamo sempre scritto. Possiamo solo aggiungere che spesso anche i minorenni in viaggio da soli vengono costretti a lavorare in schiavitù dai sequestratori se le famiglie non possono pagare i riscatti. C’erano minori per inciso anche tra gli oltre 20mila che la cosiddetta guardia costiera libica ha riportato indietro nel 2024, sottoponendoli a nuove torture, detenzioni degradanti e inumane e schiavitù.
Ultima cosa da fare per rispetto dell’umanità delle vittime in mare, non chiediamo più “chi glielo ha fatto fare” ai genitori. Perché dimostriamo solo di non aver mai provato un tale grado di disperazione, quella che ti porta a fuggire mettendo a rischio la vita tua e quella dei tuoi figli, e facciamo apparire la nostra miseria umana. Le alternative per prevenire le morti in mare almeno di mamme e bambini ci sarebbero. Secondo l’Unicef si potrebbe utilizzare il Patto Ue sulla migrazione e l’asilo per dare priorità alla salvaguardia di bambine e bambini con l’apertura di percorsi sicuri e legali per la protezione e il ricongiungimento familiare, nonché operazioni coordinate di ricerca e salvataggio e sbarchi sicuri. E poi intensificare i corridoi umanitari e lavorativi su scala europea per famiglie e le evacuazioni umanitarie di vulnerabili. Dietro i numeri ci sono sempre volti e storie che non si possono cancellare. C’è un Giubileo di speranza anche per il Mediterraneo centrale, e ci dice che è arrivato il tempo di dire basta a tutto questo carico di morte in mare.
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