«Si smetta di mostrare i muscoli mentre la gente soffre. Per favore, per favore: non abituiamoci alla guerra, impegniamoci tutti a chiedere la pace». Ancora una volta lo ha gridato. E lo ha fatto nell’Urbi et orbi di Pasqua. Dopo averlo supplicato anche con il silenzio in questo venerdì santo dell’umanità.
Rivolgendosi a chi ha la responsabilità delle nazioni, a ognuno che abbia responsabilità. E se la voce del Papa continua senza tregua a levarsi per gridare pace, per implorare che si fermi la guerra –cioè tutte le guerre –, se continua ad avvertire che siamo davvero sull’orlo della catastrofe, è perché forse è l’unico oggi che con estrema lucidità vede quanto sia fatale non solo per l’Occidente scivolare sulla illogica china del conflitto, è perché vede con chiarezza e lungimiranza che è proprio l’«assuefazione» – quella che si sta imponendo insieme al conflitto – che ci porta dritti verso la guerra globale irreversibile.
Con questa limpidezza di visione e con dirittura esemplare per credenti e non credenti, Francesco non si stanca perciò di ripetere che non possono esistere guerre giuste, che sempre la guerra è un’azione funzionale all’idolatria del potere e che almeno i cristiani dovrebbero aver chiaro che rappresenta un oltraggio a Dio, anzi «un tradimento blasfemo del Signore della Pasqua». Vale per ogni guerra. E mentre i potentati continuano a spartirsi le vesti, minacciando Kiev e chi sostiene gli ucraini aggrediti, o all’opposto chiedendo sempre più armi per l’Ucraina, il 'povero Cristo' Successore di Pietro chiede tregua, per arrivare alla pace, attraverso la razionale scelta di un vero negoziato per il bene della gente.
Infatti, – aveva affermato già all’Angelus della domenica delle Palme – che vittoria sarà quella che pianterà una bandiera su un cumulo di macerie? Ma soprattutto ha chiesto in questa «Pasqua di guerra» di non assuefarsi alle armi e di ascoltare l’inquietante domanda posta dagli scienziati quasi settant’anni fa: «Metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra?».
Si è riferito, il Papa, al Manifesto firmato nel 1955 da Bertrand Russell e da Albert Einstein che si fecero promotori di una importante dichiarazione in favore del disarmo nucleare e di una scelta di pace per l’umanità, testo che venne sottoscritto da importanti scienziati e intellettuali. Ed è significativo, che quasi sotto silenzio, nella barbarie dell’ora attuale, sia stato solo il Papa, nel giorno di Pasqua, a riprendere quelle riflessioni.
Gli scienziati avevano scritto: «Noi vi chiediamo, se vi riesce, di mettere da parte le vostre opinioni e di ragionare semplicemente in quanto membri di una specie biologica (…) la cui scomparsa nessuno di noi può desiderare». E affermavano che «gli uomini sono tutti in pericolo, e solo se tale pericolo viene compreso vi è speranza che, tutti insieme, lo si possa scongiurare». «Dobbiamo imparare a pensare in modo nuovo – incalzavano gli scienziati con parole di sorprendente attualità –. Dobbiamo imparare a domandarci non già quali misure adottare affinché il gruppo che preferiamo possa conseguire una vittoria militare (...); la domanda che dobbiamo porci è: 'Quali misure occorre adottare per impedire un conflitto armato il cui esito sarebbe catastrofico per tutti?'».
Troppi, ancora oggi, sembra che non abbiano ben compreso quali potrebbero essere le conseguenze di una guerra combattuta con armi nucleari. Le nuove bombe sono più potenti delle precedenti: se una bomba atomica è riuscita a distruggere Hiroshima, una bomba all’idrogeno potrebbe distruggere grandi città come Londra, New York e Mosca. Il Manifesto citato da Francesco (che il Papa aveva ben presente già nel 2018 quando nel volo che lo portava in Cile e in Perù, fece distribuire ai giornalisti in aereo la foto di un bambino giapponese scattata l’indomani dell’esplosione atomica) continuava affermando che «ciò che maggiormente ci impedisce di comprendere pienamente la situazione è che la parola 'umanità' suona vaga e astratta. Gli individui – affermavano Russel ed Einstein – faticano a immaginare che a essere in pericolo sono loro stessi, i loro figli e nipoti e non solo una generica umanità.
Faticano a comprendere che per essi stessi e per i loro cari esiste il pericolo immediato di una mortale agonia. E così credono che le guerre potranno continuare a esserci, a patto che vengano vietate le armi moderne. Ma non è che un’illusione. Gli accordi conclusi in tempo di pace di non utilizzare bombe all’idrogeno non verrebbero più considerati vincolanti in tempo di guerra».
E così concludevano: «La maggior parte di noi non è neutrale, ma in quanto esseri umani dobbiamo tenere ben presente che affinché i contrasti tra Oriente e Occidente si risolvano in modo da dare una qualche soddisfazione a tutte le parti in causa – comunisti e anticomunisti, asiatici, europei e americani, bianchi e neri – tali contrasti non devono essere risolti mediante una guerra. È questo che vorremmo far capire, tanto all’Oriente quanto all’Occidente». Oggi, nel sonno della ragione, e nella strumentalizzazione persino di Dio, soltanto il Papa ha voce e cuore per ripeterlo.