venerdì 31 gennaio 2014
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Gentile direttore,
continuano a comparire (da un estremo politico-culturale all’altro) scritti che si compiacciono delle «primavere arabe e islamiche». Ammesso che siano mai esistite (nella mente di qualcuno può anche darsi), le situazioni in atto e le scie di disastri lasciate da questi eventi mi sembrano davvero portare a conclusioni che poco hanno a che fare con la primavera. Se l’intenzione di sostituire dei dittatori con delle democrazie può essere nobile, non si può negare che quello che sta avvenendo costituisca il classico passaggio dalla padella alla brace. Come per l’Egitto, in parecchi Paesi si passa da un uomo forte a un altro, da una tolleranza pelosa a un’intolleranza conclamata, da una parvenza di controllo dei gruppi più estremisti all’incremento della loro presenza, da interventi armati (attuali o potenziali) per limitare i danni a situazioni incontrollabili a medio e lungo termine. Farebbe piacere sapere quale politica sia perseguita dall’Occidente nel complesso. Nel caso dell’Italia, questo è aggravato dalla debolezza politica endemica e dalla propensione a restare al traino di altri.
Aurelio Cereti, Faenza (Ra)
Alla base del suo pessimismo e della sua amarezza, gentile signor Cereti, ci sono letture e ragioni accurate e serie. È vero: dopo le subitanee "primavere arabe" che, in Nordafrica e in Medio Oriente tanto quanto nella nostra Europa, avevano suscitato un clima di speranza e di ottimismo, sono arrivate in modo anche brutale delle autentiche "gelate". Non ho mai considerato una "primavera" la guerra di Libia che ha portato alla sanguinosa fine del "regno" del colonnello Gheddafi, e credo che la difficilissima condizione di quel Paese drammaticamente spaccato possa stupire soltanto chi non fa i conti con la realtà. Ma non c’è dubbio che il caso egiziano riassuma perfettamente (e quanto ci hanno ragionato su i nostri inviati e commentatori...) i connotati del nuovo "inverno" delle libertà fondamentali che incombe su Paesi a noi così vicini. Eppure il vento non soffia in una sola direzione. E non sarebbe giusto perdere di vista e svalutare ciò che poco a poco, in modo mai scontato e facile, resiste di quel movimento dal basso che ha prodotto cambi di regime e nuovi protagonismi politici e sociali nelle realtà arabe. Penso in particolare a ciò che si va realizzando nel laboratorio tunisino, dove l’approvazione della nuova Costituzione ha rappresentato un passaggio delicato e incoraggiante, contrassegnato dalla non imposizione della sharia (la legge islamica) come fonte primaria della legalità statuale e da un primo significativo riconoscimento del ruolo della donna. Tutto ciò merita di essere seguito e accompagnato – in particolare dall’Italia – con grande interesse, civile solidarietà e mediterranea amicizia.
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