Luisa Dell’Orto, Javier Campos, Joaquín Mora, Christopher Odia, Vitus Borogo. In meno di due settimane, la violenza ha strappato la vita a una religiosa lombarda, a due gesuiti messicani e ad altrettanti preti messicani. Donne e uomini impegnati tra le tessere della "Terza guerra mondiale a pezzi" più cruente quanto invisibili. Non c’è formalmente un conflitto nel Messico, dilaniato dalle potenti mafie del narcotraffico che controllano interi frammenti di Paese con l’aiuto dei comparti di istituzioni previamente catturati. In uno di questi buchi neri – la Sierra di Tarahumara –, i padri Javier e Joaquín testimoniavano la Buona Notizia di una fraternità possibile fra gli indigeni Rarámuri, bersaglio sistematico delle vessazioni dei narcos. Non c’è guerra nemmeno nella Nigeria oppressa dal terrore jihadista e dalla violenza etnica, del crimine fuori controllo, dove svolgevano il loro ministero i parroci Christopher e Vitus. Né nella piccola Haiti, ridotta in macerie da politiche neocoloniali rapaci. Cancellata dall’indifferenza internazionale, dalla corruzione locale, oltre che da ciclici sismi. Gli ultimi secoli di storia haitiana sono un crescendo di catastrofi. Fino all’attuale scenario tragico, fatto di omicidi, sequestri, estorsioni e rapine. Le cifre, registrate sempre per difetto, parlano di un aumento della violenza di oltre il 50 per cento. Ma i numeri difficilmente rendono il terrore che provano gli abitanti delle baraccopoli, in balia dei capricci delle gang che dilagano nel vuoto politico e istituzionale.
E suor Luisa Dell’Orto era fin troppo consapevole della gravità della situazione. Non si stancava di ripeterlo negli incontri, nelle lettere, nelle conversazioni telefoniche. Eppure, quando le domandavano quale senso avesse rimanere, rispondeva: «Non possiamo abbandonarli». «Poter contare su qualcuno è importante per vivere! E testimoniare che si può contare sulla solidarietà che nasce dalla fede, dall’amore per Dio e dall’amore di Dio è il più grande dono che possiamo offrire», aveva scritto lo scorso ottobre a un gruppo missionario in Italia. Il soggetto sottointeso erano i cittadini senza cittadinanza di Port-au-Prince e dintorni.
E, soprattutto, i "suoi" ragazzi: i bimbi schiavi che la religiosa cercava di liberare attraverso l’unica arma che anche su quest’isola negletta non uccide: l’istruzione. Centinaia erano passati per Kay Charles, la casa dedicata a Charles de Foucauld per restituire almeno un po’ d’infanzia a chi ne era stato derubato da una guerra mai dichiarata quanto reale. Tanti, terminati il corso di alfabetizzazione ideato dalla stessa Luisa, continuavano a frequentarlo come amici e volontari.
Per loro e con loro, la religiosa andava avanti, giorno dopo giorno, mentre il Paese e la sua capitale si disfacevano nel caos anarchico. Non era disposta a rassegnarsi al male, Luisa. Di fronte a quest’ultimo ha combattuto fino alla fine. Con il cuore e le mani disarmate, come discepola di un Messia crocifisso.
Prendendosi cura dei corpi feriti, rammendando degli spiriti spezzati, riparando le relazioni in frantumi. Tutt’altro che un atteggiamento inconsapevole. La sua era la resistenza del Samaritano, il personaggio evangelico che papa Francesco indica come modello di essere umano e cittadino in Fratelli tutti. «Davanti a tanto dolore a tante ferite, l’unica via d’uscita è essere come il buon samaritano. Ogni altra scelta conduce o dalla parte dei briganti oppure da quella di coloro che passano accanto senza avere compassione del dolore dell’uomo ferito lungo la strada». Ha lottato con coraggio fino all’ultimo questa piccola, grande sorella. C’è voluta una raffica di proiettili per strapparla per sempre al campo di battaglia.
In questo tempo, in cui la retorica bellica e bellicista cerca di imporsi come la sola ragionevole, fa però bene fare memoria di Luisa Dell’Orto, come di Javier Campos, Joaquín Mora, Christopher Odia, Vitus Borogo. Costruttori di pace in un mondo in guerra, non per ingenuità bensì per scelta.
Pagata con il sangue, proprio. Del resto «tutta la propaganda di guerra, tutte le urla, le bugie e l’odio provengono invariabilmente da persone che non combattono», diceva un uomo che di futuro se ne intendeva: George Orwell.