Partiamo da un presupposto fondamentale: una società civile e forze politiche sensibili ai temi della povertà e della tutela degli ultimi non possono fare una guerra "a prescindere" e dal sapore ideologico a una misura come il reddito di cittadinanza. Questo provvedimento ha il merito di mettere risorse come mai in passato su una rete di protezione universale che cerca di migliorare le condizioni di chi sta peggio. Non solo il pensiero solidarista, ma anche quello liberale che (da Einaudi ad Hayek allo stesso Friedman) ha considerato spesso con favore misure di questo tipo. Detto questo, un approccio costruttivo – come già in passato quando questo dibattito è partito – sta proprio nell’identificare limiti e falle del Reddito. E i promotori della misura dovrebbero riconoscere che il risultato finale si è arricchito ed è migliorato proprio grazie al confronto, anche aspro, con l’opinione pubblica e con le forze di opposizione.
Tra gli effetti che il Reddito di cittadinanza potrebbe avere sulle grandezze del mercato del lavoro è lecito aspettarsi un paradossale aumento del tasso di disoccupazione e dei salari minimi di mercato pagati dalle imprese. Sul primo punto la fascia ampia di coloro che ufficialmente non cercano lavoro (inattivi), ma sono in realtà disoccupati a tutti gli effetti dovrebbe essere spinta a cercare ufficialmente lavoro (entrando tra i disoccupati) per percepire i benefici economici della misura.
Sul secondo punto è stato fatto notare che nel nostro Paese i salari per molti lavori sono inferiori alla soglia massima del reddito di cittadinanza. Questi lavori continueranno a essere offerti e accettati? O le aziende saranno costrette a offrire almeno qualcosa in più della soglia? L’effetto da questo punto di vista potrebbe essere indubitabilmente positivo, ma non è detto che lo sia. Se il work poor (il lavoro povero), dovrebbero ridursi, potrebbe aumentare il vantaggio rappresentato dal basso costo del lavoro di aziende che producono in altri Paesi.
Ancora, si obietta che la soglia unica di povertà considerata non tiene conto delle differenze regionali rilevate dall’Istat stesso, sovrastimando la povertà (e i beneficiari del Rdc) al Sud rispetto al Nord. Il coefficiente familiare inoltre è piuttosto basso e dunque la misura antepone di fatto i single alle famiglie. L’ambizione della misura è, come sappiamo, quella di mettere assieme il contrasto alla povertà con le politiche attive del lavoro. L’enfasi sui navigator e la dote per chi (agenzia pubblica o privata) aiuta il percettore del reddito a trovare un lavoro dovrebbero spingere verso l’occupazione chi può raggiungerla. Semplificando le cause di disoccupazione possono essere tre.
La prima è che domanda e offerta di lavoro farebbero un 'matrimonio perfetto' ma non s’incontrano. La seconda è che domanda e offerta potrebbero fare un buon matrimonio se l’aspirante lavoratore colma il gap di competenze che gli impedisce al momento di poter ottenere il posto di lavoro (laddove il gap è rapidamente recuperabile). La terza è che ci sono troppi pochi posti di lavoro nell’area per ragioni diverse (macroeconomiche, di sistema Paese). Se siamo nel primo caso ci si domanda perché il gap non sia stato già colmato. Il secondo caso è più interessante e richiede qualità nel percorso di formazione affinché l’insieme degli interventi previsti con il Reddito di cittadinanza possano incidere positivamente.
Nel terzo caso il reddito di cittadinanza può far poco. Ma la ripresa di politiche di sostegno alla crescita (incentivi agli investimenti delle imprese, riforme sistema Paese, infrastrutture) sarà indirettamente decisiva per il successo stesso del Rdc. Il successo della misura si gioca però su piani più profondi, L’economia civile si fonda su un presupposto fondamentale che sembra sfuggire al dibattito. La 'fioritura' di una vita non la decide in toto lo Stato, ma dipende dalle nostre scelte e dai nostri atteggiamenti, che ovviamente sono aiutati dal contesto più o meno favorevole determinato dalle politiche pubbliche.
Per questo, per alcuni, il Rdc potrà essere una pedana che consentirà nei casi migliori di rimettersi in pista tornando utili a se stessi e alla società. In molti casi, però, la stessa misura rischia di essere occasione di opportunismi e di ripiegamento se sarà cumulato col 'nero' o disincentiverà la ricerca di lavoro. La responsabilità sociale dei percettori, opportunamente stimolata dalle sanzioni e dall’efficacia dei controlli, sarà dunque alla fine decisiva. Non ci stanchiamo mai di ripetere che in una 'economia civile' la dignità di una persona non dipende da un obolo monetario, ma dalla propria capacità di essere utili e generativi alla società. Il successo 'individuale' o meno del Reddito di cittadinanza dipenderà dunque dall’atteggiamento dei singoli percettori. E quello politico e sociale dalla somma di questi atteggiamenti e dal loro peso statistico.