Caro direttore, «La vita, più che un nostro possesso, è un dono che abbiamo ricevuto e dobbiamo condividere, senza buttarlo». Ha ragione il cardinale Gualtiero Bassetti quando esprime una posizione molto chiara sul tema delicato del 'suicidio assistito' e della dignità della morte, una questione etica che appartiene indubbiamente alla coscienza di ciascuno di noi, ma che tocca i più diversi ambiti della vita individuale e associata. È stata la Corte costituzionale a ribadire con la sua ultima sentenza che è «indispensabile » l’intervento del Parlamento per regolamentare definitivamente questa materia.
Non sarà una decisione facile, perché il tema della 'morte a richiesta' chiama in causa i princìpi stessi della intangibilità della vita su cui è fondata la nostra Carta costituzionale, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, il primo dei quali è, appunto, quello alla vita, frutto di valori fondamentali riconosciuti dalla nostra comunità. Sappiamo bene che la Cisl, pur essendo saldamente legata ai valori cristiani, ha sempre laicamente rispettato il pluralismo e la libertà di opinione dei suoi iscritti sui temi bioetici. Ma questo non può limitare la capacità di ciascuno di noi, come persona, di esprimere una propria posizione, soprattutto quando questo riguarda la difesa della vita e dell’essere umano. Ecco perché personalmente ritengo che non sia condivisibile il principio per il quale la richiesta di morire debba essere accolta per il solo motivo che proviene dalla libertà del soggetto.
Lo dico con rispetto per le opinioni degli altri: questa mi pare solo una fredda logica utilitaristica, una concezione nichilistitica della vita e della società, come se la determinazione a vivere o a morire avessero il medesimo valore. Non è così. Ciascuno di noi ha dovuto assistere un parente, un amico caro o un conoscente nella difficile fase finale della propria esistenza. Sono momenti dolorosi, tragici, per tutti. È giusto alleviare le sofferenze dei malati terminali ed evitare l’accanimento terapeutico come prevedono già le leggi. Ma agevolare il suicidio è una scelta 'innaturale', discutibile. È una deformazione evidente del nostro tempo, perché rischia di avallare il principio che chi è meno autonomo è una zavorra per la famiglia, per la società e per la comunità dei 'forti', come giustamente ha rilevato il cardinale Bassetti. La vita umana viene sempre prima di tutto, va sempre protetta, in ogni circostanza ed in ogni ambito. Dobbiamo guardarci dall’entrare nel vortice dell’indifferenza o nel cinismo economicista che genera una mentalità che guarda solo all’efficienza. Sarebbe aberrante entrare in una logica di chi debba essere ancora curato e chi non ne abbia il diritto.
Circondiamo le persone gravemente malate, quelle con gravi handicap o non autosufficienti, e tutti i più deboli dell’amore del quale, come ogni essere umano, ha bisogno per vivere. Investiamo di più nell’assistenza, nelle cure contro il dolore e la sofferenza, applicando le leggi che già ci sono e rispettando i medici che hanno tutto il diritto di esprimere la propria opinione scientifica ed etica sul fine vita. Non andiamo oltre. Viviamo già in una società egoista, che non mette più al centro la persona, che considera spesso la vita umana come una merce o un cosa che si usa e si getta. Ha ragione lei, caro direttore , quando scrive che 'dobbiamo restare umani'. Non bisogna arrendersi alla cultura della morte. Non è così, non deve essere così. Tocca a tutti noi, uomini e donne di coscienza, credenti e non credenti, impegnati in politica e nel sociale, a far sì che i valori a difesa della vita siano più forti delle condizioni di morte e per la morte.
Segretaria generale Cisl