C’è una linea sottile e oscura che lega le Curve dei nostri stadi, da Roma a Milano, ed è quella della droga e dell’illegalità, che si muove spesso indisturbata. Il calcio italiano, per usi e costumi, non è così distante da quello colombiano. Lì, nella terra che fu di Pablo Escobar, i capibastone del narcotraffico governano i club calcistici. Da noi invece le proprietà sono sempre più straniere e, privilegiando solo il business, quasi incuranti – se non ignare – delle complesse e oscure dinamiche del mondo ultrà. Così le frange autoctone ed estreme del tifo continuano a fare il bello e il cattivo tempo, attivissime nel ricattare i club con richieste di biglietti per le trasferte da rivendere in nero, idem per il merchandising, per poi arrivare al “controllo indiretto” della squadra, vedi le minacce di togliersi la maglia dopo una sconfitta (Genoa docet). Ma prima di tutto viene il pieno controllo della Curva, che è esclusiva degli ultrà e dei loro capi.
La conferma di questo scenario apocalittico e disintegrante si è avuta sabato sera a Milano, quando la Curva Nord di San Siro, il covo della tifoseria nerazzurra, tra il primo e il secondo tempo di Inter-Samp è stata evacuata forzatamente per onorare la memoria del capo ultrà interista Vittorio Boiocchi che era stato appena ucciso da cinque colpi di pistola. Un regolamento di conti, alla colombiana. Boiocchi aveva precedenti anche di traffico internazionale di stupefacenti e aveva passato 23 dei suoi 69 anni in galera con le condanne più disparate. Ma per certi ultrà dell’Inter evidentemente era e resta un modello di uomo, un piccolo eroe esemplare della Curva e perciò, quella stessa Curva andava svuotata e in fretta, in segno di lutto stretto per il suo ex ras.
Papà e mamme con figli che, per assistere alla partita della Beneamata, possono permettersi solo il biglietto a costo popolare della Curva Nord sono stati spintonati, presi a calci e ceffoni e buttati fuori violentemente dall’anello verde rimasto miseramente deserto. Ma la società, l’Internazionale Fc del signor Zhang Kangyang dov’era? E perché in un Paese civile e in uno Stato di diritto dobbiamo assistere all’esproprio del posto pagato e, quindi in teoria garantito, allo stadio? In nome di chi poi, del signor Boiocchi, un soggetto che allo stadio non avrebbe neppure dovuto mettere più piede quando è uscito dal carcere nel 2018. E invece ci andava ancora, ed è riuscito a fare proseliti tra quelli che ora lo piangono come fosse stato Meazza.
È la stessa storia che, da due anni in qua, portano avanti gli irriducibili ultrà della Lazio che al loro “Diabolik”, al secolo Fabrizio Piscitelli – identica fedina penale di Boiocchi e stessa fine, regolamento di conti da parte di killer della mala romana –, dopo avergli tributato un funerale in stile Casamonica, non mancano mai di dedicare cori, striscioni e una bandiera con l’effigie del vero Diabolik (quello delle sorelle Giussani) che campeggia nel cuore della Curva Nord dell’Olimpico. Diabolik al pari di Tommaso Maestrelli, l’allenatore dello scudetto del 1974 al quale è stata appena intitolata la Sud? Piscitelli era uno capace di fermare un derby (Lazio-Roma, marzo 2004). Ed è stato ammazzato per storie di narcotraffico che non hanno nulla a che vedere con il calcio.
Eppure, Boiocchi e Diabolik guarda caso erano e restano i totem di Curve gemellate, e non erano solo i capi del tifo organizzato, ma i boss di cosche che operano nel torbido e che usano anche la Curva per il loro loschi traffici, che s’intessono tra Roma e Milano. Il Calcio ridotto a pretesto. E l’andata e il ritorno, purtroppo, non sono più riferiti solo al calendario della stagione calcistica, ma anche e soprattutto ai viaggi e alle trasferte organizzate per scopi paralleli al pallone. Anzi, i signori dei secondi anelli se potessero metterebbero i loro quintali di droga, che sta uccidendo come negli anni 80, anche dentro i palloni calciati dai nostri campioni. Che sono solo nostri, di noi che amiamo davvero il calcio, perché i loro idoli non hanno nulla a che vedere con l’anima degli stadi e con la passione per la squadra del cuore.