In una lunga e appassionata lettera datata 4 settembre nella quale anticipava di un paio di settimane i 25 anni di Google, Sundar Pichai, il ceo dell’azienda, ha scritto a tutti gli utenti, i partner e i dipendenti. Pichai nel suo testo mescola narrazioni personali e successi aziendali permettendo di avere uno sguardo non solo sul passato ma soprattutto sul futuro. Google, nelle parole del suo leader, inizia con un desiderio che sembra essere quasi un sogno: i due fondatori Larry Page e Sergey Brin volevano con Google Search «organizzare le informazioni del mondo e renderle universalmente accessibili e utili». Di fatto Google nacque come soluzione per un’Internet che sembrava schiacciare i suoi utenti con ondate continue di informazioni. L’idea di fondo non era solo organizzare il mondo digitale di dati connessi nella rete di tutte le reti – Internet – ma soprattutto andare incontro alle richieste di senso delle persone: il motore di ricerca doveva aiutarle a trovare risposte alle domande. Pichai, da bravo e navigato capitano d’azienda, comunica molto bene tutto questo facendo emergere come Google si sia presentato come lo strumento che era in grado di dire cosa esistesse e cosa non ci fosse in Internet.
Lo fa attraverso una serie di aneddoti tratti dai ricordi dalla sua giovinezza. Dal racconto del 51enne amministratore delegato di origini indiane emerge come l’azienda si sia resa conto a un certo punto che non contavano solo i dati raccolti e sistematizzati ma anche le domande degli utenti. Nel sapere cosa le persone chiedono si ha accesso a un nuovo mondo da catalogare e organizzare: la richiesta di senso delle persone. Il tema del capire le domande degli utenti è così importante che lo stesso Pichai lo sottolinea nel suo testo: « Le domande che ho posto a Google si sono evolute nel tempo: “Come si ripara un rubinetto che gocciola?”. “Qual è il percorso più veloce per l’ospedale di Stanford?”. “Come calmare un bambino che piange?”. E nella primavera del 2003: “Come superare un colloquio con Google?”. Con il tempo, Google è diventato molto più bravo a rispondere».
Di fatto questi 25 anni hanno visto un algoritmo ideato dai due fondatori del motore di ricerca – Pagerank – evolvere in un vero e proprio sistema in grado di rispondere ai dubbi dell’utente. Questo quarto di secolo insieme a Google ci è utile quindi per guardare a una profonda trasformazione che è avvenuta nella nostra società. Google con la sua idea di sistematizzare e organizzare la conoscenza – o forse, in maniera più maliziosa, divenendo l’unico intermediario digitale tra le nostre domande e le possibili risposte in Internet – ha alterato per sempre il criterio di credibilità. A stabilire la validità di una notizia non è più l’attendibilità della fonte ma il rank, cioè la classifica secondo l’algoritmo di Google. Ciò che appare prima e più volte nelle nostre ricerche sembra più affidabile. I recenti fatti della pandemia, con i no-vax e il propagarsi delle fake news, sembrano confermare questa nuova percezione dell’affidabilità digitale. I dati su cui lavora il colosso di Mountain View diventano gli dei del XXI secolo. Sono loro i vati e gli oracoli da interrogare per sapere i segreti che sono nascosti nel nostro futuro. E diviene quanto mai significativo un frammento di uno dei primi filosofi, Eraclito.
Il pensatore di Efeso avverte: « Il signore il cui oracolo è a Delfi non dice né nasconde, ma significa» ( Sulla natura, frammento 93). Ed è qui che la storia passata di Google diventa sfida per il futuro. Oggi le intelligenze artificiali (IA) incorporate in motori di ricerca come Bing non solo indicano ma anche narrano i contenuti. L’oracolo si sta evolvendo, tuttavia facendo questo potrebbe non abitare più in Google ma in altri sistemi. Oggi sono i dati offerti in modo sacrificale agli idoli delle IA che “significano” – cioè indicano senza spiegare – e danno risposte ai nostri quesiti più profondi. Ne è cosciente anche Pichai: sa che sarà l’IA a permettere agli utenti di fare a Google nuove domande. Da parte nostra mi sembra sia urgente non rimanere solo consumatori o fruitori di queste profezie oracolari contemporanee. È urgente pensare le IA e gli algoritmi tornando a quella forma matriciale del nostro pensiero occidentale che è la polis greca, la piazza in cui far convergere i diversi saperi in cerca della verità. Sono forse le parole dello scrittore Alessandro Baricco nel suo racconto City la guida migliore al compito che ci aspetta: «Tutte quelle storie sulla tua strada. Trovare la tua strada. Andare per la tua strada. Magari invece siamo fatti per vivere in una piazza, o in un giardino pubblico, fermi lì, a far passare la vita, magari siamo un crocicchio, il mondo ha bisogno che stiamo fermi, sarebbe un disastro se solo ce ne andassimo, a un certo punto, per la nostra strada, quale strada?, sono gli altri le strade, io sono una piazza, non porto in nessun posto, io sono un posto». Dobbiamo tornare ad abitare le piazze sapendo che solo nel confronto e nel dialogo umano può emergere la verità, l’unica risposta capace di saziare le nostre domande.