La situazione delle arti e della cultura estetica in Italia subisce un sacrificio incomprensibile. La voce degli artisti, degli attori, dei musicisti e di tutti coloro che operano in quell’esteso settore della vita umana, che è anche vita spirituale universale, rimane in larga parte inascoltata.
Un universo di civiltà, un patrimonio inestimabile di formazione è finito a lungo nel silenzio e nell’oscurità, e quei pochi casi di sopravvivenza che possiamo registrare dal marzo dell’anno scorso hanno rivelato il gioco, direi grottesco, di apparenze simulate, cercando, quelle menti disperate d’artisti, di trovare almeno qualche segno d’umana continuità nella cosiddetta realtà virtuale; e ciò su invito dei burocrati in cima alle istituzioni 'addette alla tutela e promozione di questi beni', o nel tentativo di sfuggire, con invenzioni comunicative, alla morsa bestiale che non fa respirare il genio della loro espressione. Musica, cinema, teatro, letture intrattenute nel nostro computer di casa non fa certo ben sperare. C’è il rischio gravissimo che la dimensione sociale dell’arte, proprio il suo processo formativo, di relazione, finisca in una trama di speculazione economica, di brutale risparmio e taglio di attività. Risparmiamo simulando, simuliamo risparmiando.
Un motto che non si addice a nessun partito politico, conservatori o riformisti. La dignità e la mitezza della protesta che si è avuta in questa triste condizione di prigionia da parte di molte migliaia di creatori e datori d’arte nel nostro Paese, non ha ottenuto alcuna vera risposta. Forse bisogna essere violenti per essere ascoltati? La scelta è nel dialogo presupponendo che esso esista fortemente in una società democratica. Le prudenze e gli accorgimenti messi a punto nell’estate e nel primo autunno dell’anno scorso avevano provveduto affinché il pericolo del coronavirus risultasse di scarsissimo impatto. Ho notato, da visitatore e spettatore, come nelle sale da concerto, nei teatri, nei cinema, nei musei, sul filo della sopravvivenza in quel periodo di permesso delle attività, che i severi controlli e il numero limitatissimo di posti fossero garanzia di sicurezza. Su quella linea si sarebbe dovuto continuare. Aprono, chiudono e riaprono bar e ristoranti, ma constatiamo tristemente che, nel caso di bevute e pasti, non poca gente mostra comportamenti scarsamente responsabili.
Non mi è mai parso che fosse stato così nei luoghi dell’arte e della cultura. Possibile che di questa parte di cittadini, posto il loro impegno e fiduciosi nella relazione sociale al tempo della crisi Covid, per mesi nessuna persona che conta abbia voluto parlarne a favore? E nessuno fa nemmeno riferimento ai milioni di fruitori, visitatori e spettatori, rimasti senza questo 'pasto' che gratifica, eleva, cura e arricchisce. Un pasto diverso da quello di cui si occupano i media e le persone che decidono sul piano politico e amministrativo. Ma questo secondo pasto, che è il nutrimento della civiltà in cammino, sostanza delle sostanze, non essendo nella dimensione del consumo veloce, non viene appunto promosso, gli viene impedito addirittura di vivere. Osserviamo con amarezza profonda che alla dignità del silenzio ha corrisposto il silenzio delle istituzioni, le quali, denutrite del ruolo dell’arte, della cultura, della scienza, non potranno che inaridirsi.
L’immagine della bellezza che il nostro Paese ha irradiato per secoli si sta spegnendo. Lo dimostra anche tutto ciò che è nel sistema arte cultura scienza: università, accademie, conservatori, scuole per l’apprendimento di lavori artistico-artigianali. Leggiamo che sfrenati progetti si stanno per contrapporre, enunciando un vero e proprio modello di consumismo costruttivo, al principio natura-architettura per un’armonia dell’abitare, mentre già da tempo la televisione pubblica e privata offre ben pochi esempi di una pedagogia e di una filosofia della visione e della conversazione per un processo virtuoso collettivo. Il rifugio, in questi mesi, è la radio, soprattutto la terza rete Rai che potrebbe essere guida per un recupero di formazione nella comunicazione sorella televisiva.
La bellezza dei nostri tesori d’arte come delle nostre attività d’eccellenza creativa dispiegate tra le arti e anche nelle scienze – vorrei così rivolgermi a Mario Draghi, presidente del Consiglio, mentre di molte attività si è annunciata una riapertura prudente e parziale – insieme al patrimonio dei beni paesaggistici, culturali e storico artistici, delle tecniche tradizionali, materiali e immateriali, impone un compito che non possiamo dismettere: il nostro Paese, un composito risultato di meraviglie, deve essere presto curato per le tante ferite che gli sono state inferte e per l’imminenza di nuove lacerazioni che stanno per essere praticate. In virtù di tutto ciò, possiamo solamente pregare che si appresti la cura per far vivere l’arte, la cultura e la scienza. Accendete le luci, aprite musei e teatri, tirate il sipario, mettete a punto gli strumenti, entrino in scena i danzatori.