sabato 12 ottobre 2019
I rappresentanti di dieci Stati della regione montuosa reclamano l’attenzione del mondo. La temperatura sale più velocemente, allarme nel bacino indiano del Sutlej
Uno scorcio della catena dell'Himalaya (Ansa)

Uno scorcio della catena dell'Himalaya (Ansa)

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Monsone atipico, quello 2019 in India. E se nelle aree pianeggianti fasi di siccità intensa e di inondazioni eccezionali si alternano purtroppo con un bilancio di centinaia di morti e danni elevati, le zone montane vedono un dissesto come mai nell’ultimo ventennio. La strada che dall’ex capitale estiva dei colonizzatori britannici Shimla sale verso il controverso confine con la Cina e più oltre, lungo l’alto corso del Sutlej e dello Spiti in un caos di pareti franate e smottamenti del manto stradale – per poi convergere fortunosamente verso la carrozzabile per il Ladakh e quella più ampia ma intersecata da torrenti in piena e fango che riporta ai piedi dell’Himalaya dopo Manali – è in condizioni a dir poco precarie. Sottoposta alle conseguenze di precipitazioni eccezionali e alla scarsità degli strumenti di emergenza in condizioni ambientali spesso proibitive, l’unica carrozzabile che attraversa l’Alto Himalaya nello Stato di Himachal Pradesh apre a scenari apocalittici per l’intera area montana settentrionale dell’India. Perché quello che ora è dovuto in buona parte alle intemperanze del clima e in parte all’opera dell’uomo, potrà in un futuro ormai prossimo essere conseguenza dello scioglimento accelerato dei suoi ghiacciai.

Il bacino del Sutlej – solo uno delle decine che segnano l’Himalaya nei suoi 2.400 chilometri di lunghezza – ha 2.026 ghiacciai di varie dimensioni e dallo scioglimento delle nevi e dei ghiacci dipende quasi la metà del flusso fluviale e l’80% delle acque che convergono nella diga di Bakra, la maggiore dello Stato con i suoi 1.3250 megawatt di produzione elettrica. Una produzione che, sommata a quella degli impianti grandi e minori sull’alto corso del Sutlej, fornisce energia indispensabile e regola agricoltura e approvvigionamento idrico di un’ampia area dell’India nord-occidentale. La scorsa estate per la prima volta i rappresentanti di 10 Stati e Territori indiani della regione himalayana si sono riuniti nella cittadina di Mussoorie per mettere a fuoco le tematiche ambientali e dello sviluppo connesse con la catena montuosa da cui nascono la maggior parte dei fiumi che forniscono energia e acqua al Paese ma che finora non ha avuto un’attenzione specifica alle sue crescenti problematiche.

Tra le iniziative di tutela presentate, particolare attenzione ha suscitato quella di un "bonus verde" a favore degli Stati himalayani, ovvero un compenso per la mancata attuazione di progetti di sviluppo in aree in cui questi rischierebbero di mettere in discussione la conservazione ambientale e gli equilibri ecologici. Chiesti anche la nascita di un ministero federale per le aree montane e incentivi alla crescita di iniziative turistiche e per la tutela dei ghiacciai. Questione, questa ultima, che tra tutte è quella che comincia a presentare caratteristiche di vera emergenza. Con conseguenze prevedibili ma pesanti anche per le popolazioni. Come rilevato lo scorso maggio da Anil V. Kulkarni, a capo dei ricercatori del Centro "Divecha" per il cambiamento climatico presso l’Istituto indiano delle Scienze, in un’intervista alla rivista scientifica India Science Wire presentando i risultati di uno studio specifico, «la scomparsa dei piccoli ghiacciai a altezze inferiori cambierà profondamente la situazione della disponibilità di acqua per gli impianti idroelettrici nelle aree inferiori del bacino fluviale e quindi sottoponendo a nuove sfide le piccole comunità umane nella regione himalayana», con un incremento del rischio di disastri, a partire dall’esondazione dei laghi di origine glaciale.

I ricercatori hanno applicato tecniche differenti per stimare la quantità di acqua contenuta nei ghiacciai e hanno applicato diversi modelli di proiezione per indicare la reazione possibile dei ghiacciai all’incremento della temperatura, come pure i dati satellitari che mostrano le variazioni nel limite delle nevi e nei livelli delle precipitazioni. Tematiche non di poco conto, perché se è vero che la popolazione residente sull’intero Himalaya è stimata in una cinquantina di milioni, almeno altri 450 milioni di individui dipendono dalle risorse delle montagne, che però richiedono – basti pensare all’agricoltura fino a quote elevate che è diventata per molti una nuova risorsa, coltivando mele, piselli, albicocche, grano saraceno... – infrastrutture e un territorio che sia messo in sicurezza nelle aree abitate pur senza snaturarne il paesaggio che a sua volta ha una forte attrattiva per immigrati dalle pianure, viaggiatori e appassionati della montagna di ogni provenienza.

Proprio l’analisi dei ricercatori ha mostrato che l’acqua conservata complessivamente nei ghiacciai del bacino del Sutlej è di 69 chilometri cubi, di cui il 56% nei ghiacciai superiori a cinque chilometri quadrati di superficie, che complessivamente hanno un’estensione di 517 chilometri quadrati. Una realtà gelida che sembra da record, ancor più se confrontata con altre della catena himalayana o altrove, ma che tuttavia presenta segnali preoccupanti di ritirata, con una perdita del 21% di consistenza tra il 1984 e il 2013. Ancora una volta, chiamati in causa sono gli effetti dei cambiamenti climatici, dato che l’innalzamento della temperatura dell’aria presso il suolo nell’Himalaya nord-occidentale è stato tra il 1991 e il 2015 di 0,65°, contro la media globale di 0,47°.

Le proiezioni fornite dagli esperti ovviamente variano prendendo in considerazione diversi scenari, ma quello peggiore indica la sostanziale scomparsa dei ghiacciai entro la fine del secolo. Come sottolinea ancora Kulkarni, «i ghiacciai del bacino del Sutlej sono a rischio di perdere l’81% della loro superficie se la temperatura salirà di 7,9° entro il 2090. In termini numerici, il 97% dei ghiacciai della regione sarebbe quindi destinato a scomparire. La perdita superiore riguarderà i ghiacciai di estensione inferiore a un chilometro quadrato e questo perché la risposta più immediata dei piccoli ghiacciai ai cambiamenti li rende più vulnerabili».

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