La notizia dice: «C’è un mix di alcol e psicofarmaci dietro la morte a Monza di una diciottenne in casa di un’amica». È una notizia oscura. La interpretiamo d’istinto, ma sappiamo che è un rischio. La famiglia, anzi le famiglie, son colte di sopresa. Anch’io, qui. Il questore lancia un appello ai ragazzi: «Non buttate via così la vostra vita». Cosa intende per “così”? Intende “senza saperlo, senza volerlo”. Ma allora i ragazzi che muoiono come qui a Monza, per alcool, per droghe, per psicofarmaci, cosa volevano esattamente? Il padre ha una risposta: volevano fare un “festino”. Star bene. Le mie memorie di padre, di insegnante, di lavoratore in un centro giovanile, si svegliano. I nostri ragazzi sono pianeti sconosciuti. Parlando di loro, parliamo alla cieca, andiamo a tentoni. Ho conosciuto uno psichiatra, grande esperto di benzodiazepine, che le consigliava a tutto spiano.
Una volta ho accompagnato da lui un’amica, stavo tenendo una mano sulla spalla della ragazza, molto sofferente, e quando mi sono permesso di chiedere: «Non le farebbe bene un ciclo di conversazioni psicoterapeutiche? », lui sbarrò la strada: «Perché star male a lungo, mentre si può star bene subito?». Lo psicofarmaco è quello che fa star bene subito. Se soffri d’ansia, la pasticca ti ottunde la sofferenza e ti scioglie la lingua. Se soffri d’insonnia, la pasticca ti fa calare nel buio del sonno.
Abbiamo troppa confidenza con gli psicofarmaci. Ci fu un momento in cui arrivarono in Italia i cosiddetti “sonniferi degli astronauti” che agivano con fulmineità, e ti promettevano di svegliarti a un’ora stabilita: perché gli astronauti, si diceva, dopo tot ore dovevano svegliarsi lucidi e frenetici, e riprendere i comandi. Sotto di noi, laureati e docenti, c’è il mondo degli studenti, per i quali trovare il calmante giusto è la condizione per superare gli esami: deve calmare ma lasciare lucidi. Una volta m’han messo a fare il commissario di Maturità in una sede dove si presentavano anche i sordomuti, i quali erano assistiti da un rappresentante d’istituto, com’io faccio la prima domanda il ragazzo scatta in piedi e va in un angolo, il suo rappresentante mi fa: «S’è innervosito, bisogna aspettare che si calmi». Chi ha lavorato nella scuola sa che le classi sono focolai di nevrosi.
Nulla di strano che i ragazzi si aiùtino con alcool e pasticche. Il problema è quando hanno “confidenza” con queste sostanze. Chi mi segue sa che io consiglio la terapia dialettica e non chimica, però ho sempre nell’orecchio l’osservazione di quello psichiatra: «Perché star male a lungo, mentre si può star bene subito?». Insegnando e scrivendo e facendo il padre ho imparato che noi adulti, insegnanti scrittori genitori, non siamo ininfluenti nella nevrotizzazione dei nostri figli, siamo degli inconsapevoli ma potenti acceleratori. Siamo nevrotizzati nevrotizzanti. Non so niente di questa ragazza di Monza, ma temo (se mi sbaglio, tanto meglio) che i diciott’anni siano l’età più splendente della vita, noi li ammiriamo e li invidiamo, ma non ricordiamo più che in quel visibile splendore si nasconde tanto segreto dolore.