giovedì 1 agosto 2024
Le aree interne spopolate ritrovano la loro gente
In agosto si torna a casa

In agosto si torna a casa - ANSA

COMMENTA E CONDIVIDI

Agosto è ritorno. Nella tradizione delle feste patronali e delle sagre paesane, delle bande sotto la cassa armonica illuminata e delle leccornie di piazza (oggi si dice street food), dal Trentino alla Sicilia rivivono gli echi delle comunità che d’estate si ricomponevano nella loro interezza, mutilata dall’emigrazione durante il resto dell’anno. Era un tempo sospeso fra nostalgia e speranza, tempo di legami perduti e di affetti ritrovati.

Oggi tutto è più disincantato, ma non per questo è più sobrio, anzi, mentre è ricominciata la fuga dei giovani in cerca di migliori occasioni di lavoro e di studio. Un fenomeno che interessa soprattutto il Mezzogiorno e le cosiddette “aree interne” che corrispondono a poco meno di tre quinti del territorio nazionale, zone in gran parte appenniniche e spesso depresse, fiaccate da decenni di demografia malinconica o isolate dai trasporti difficili. Tante le promesse deperite fino all’attuale processo di «desertificazione» denunciato dalla Svimez (Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno), che ha stimato da qui al 2080 un’ulteriore perdita di otto milioni di residenti al Sud, nella miopia o sottovalutazione della politica che sull’inclusione sociale e i servizi sanitari di prossimità delle aree interne ha puntato 825 milioni di euro sui 191 miliardi del Pnrr destinati all’Italia.

Alle aree interne dovremmo volgere lo sguardo aiutandole «non solo a conservare il passato, ma anche a costruire il futuro», secondo l’appello del cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, a metà luglio a Benevento nell’annuale incontro dei vescovi di tali aree. Un problema non soltanto italiano, se pensiamo per esempio al reportage La Spagna vuota di Sergio del Molino (Sellerio 2019).

«Le aree interne del Nord e del Sud sono accomunate dalle stesse difficoltà – ha detto Zuppi –, con qualche variante in negativo per il Mezzogiorno, dove ci sono ulteriori mancanze di strutture e di opportunità. Ma il grande vantaggio delle aree interne è che spesso c’è molta più comunità che altrove».

Insomma, il tema autentico è il cambio di paradigma, ovvero l’obiettivo da mettere a fuoco e i modelli di sviluppo, più o meno collegati alla filosofia del vivere e al contesto mediterraneo che iscrive, impregna e racconta il paesaggio e il carattere, come abbiamo imparato dal grande storico Fernand Braudel.

Sull’alternativa al «fondamentalismo del mercato» e alla spietatezza del profitto quale stella polare sono essenziali le riflessioni del filosofo Franco Cassano che in Modernizzare stanca (il Mulino 2001) raccolse i suoi interventi per Avvenire e l’Unità: «La sacertà della pausa e degli intervalli, il gusto della lentezza, il rispetto del limite non sono residui premoderni ma elementi irrinunciabili di un’idea di ricchezza più matura».

Ritroviamo la prospettiva meridiana di Cassano in un’agile ricerca appena pubblicata da Laterza Edizioni della Libreria, La Tornanza. Ritorni e innesti orientati al futuro di Antonio Prota e Flavio R. Albano, con contributi di Domenico Nicoletti e Donato Porzia, e una prefazione del sociologo Aldo Bonomi. Nei mesi scorsi si è molto parlato di La restanza, titolo di un pamphlet dell’antropologo Vito Teti (Einaudi 2022) citato nel film di successo Un mondo a parte di Riccardo Milani, storia di un piccolo centro abruzzese in via di spopolamento che si oppone alla chiusura scolastica dell’unica pluriclasse per i bambini del posto. La trama in agrodolce allude a una redenzione per i borghi-fantasma dove qualcuno tenacemente resta perché vuole restare.

Adesso gli autori della Tornanza aggiungono il punto di vista di chi vuole tornare, e non solo in agosto... La «tornanza» rovescia eppure conferma la prospettiva del celebre passo di Cesare Pavese in La luna e i falò: «Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti». Sicché, la stessa emigrazione dei cervelli può assumere «la forza potenziale di un moto circolatorio e inclusivo di un flusso di ritorno dopo un riscatto personale» (Bonomi).

È un modo per restituire futuro alle radici, alla stregua di quanto accadde in Puglia – ricordiamo – grazie al programma giovanile “Bollenti spiriti” varato dal compianto Guglielmo Minervini, già stretto collaboratore a Molfetta del vescovo don Tonino Bello, quando nel 2005 divenne assessore della giunta Vendola. Oltre i tecnicismi, la sfida era e rimane la capacità di illuminare e governare i nessi globale/locale, città/ campagna, turismo/identità e – sì – erranza/tornanza.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: