Violenza contro le donne è quella che si consuma nelle abitazioni e all’interno di rapporti interpersonali, che provoca ferite nel corpo e nell’anima, che in tanti casi fa correre all’ospedale e (più raramente) si conclude davanti a una giuria di tribunale. Violenza è quella che si esercita nei luoghi di lavoro, ogni volta che una dipendente viene sottovalutata, sottopagata, sottoposta a pressioni o discriminazioni in quanto donna, come scrive su queste stesse pagine la segretaria generale della Cisl Annamaria Furlan.
Ma violenza è anche quella che si scatena quotidianamente sui giornali, sui siti e sui social. Violenta è la vignetta, pubblicata sui social privati, del disegnatore de 'il Fatto Quotidiano', Mario Natangelo, in cui la deputata Laura Ravetto, 'colpevole' come altri due colleghi di aver tolto la casacca di Forza Italia per indossare quella della Lega, viene descritta da un fantomatico 'Silvio' come esperta di particolari pratiche sessuali. Una violenza immo-tivata, come è sempre la violenza, del resto, ma che nessuno si sognerebbe di esercitare, in quelle forme, con quei riferimenti, contro un uomo.
Molti si sono indignati, molti hanno difeso Ravetto, ma viene da chiedersi perché nel 2020 il codice sessista trovi ancora cittadinanza nella satira politica. Non fa ridere più nessuno, davvero, ed è indice non solo di una grettezza infinita ma anche e soprattutto di una reale arretratezza culturale. Ma continuiamo. Violenza è il processo mediatico che si sta celebrando contro una giovanissima vittima di stupro nel nostro immenso Bar Sport, dove gli avventori sono da una parte giornalisti di qualche fama – sempre gli stessi, peraltro – e dall’altra i famigerati e costantemente affamati leoni da tastiera. I tempi in cui si chiedeva alla vittima 'Ma lei com’era vestita?' sono per lo più tramontati nei tribunali, ma non altrove.
A una 18enne che in modo sofferto e drammatico denuncia di essere stata violentata nel lussuoso appartamento milanese di un uomo adulto ricco, famoso e dedito alle droghe, si scaraventano addosso parole d’accusa: 'Perché è andata in quell’attico?', 'Cosa ci faceva lì'?, e l’inevitabile 'Se l’è andata a cercare'.
Accade spesso, dalle due studentesse straniere che a Firenze erano salite ('incautamente'?) nell’auto di servizio di due carabinieri, alla giovane che, ahilei, è 'inciampata' sull’ascensore del successo. Accade ancora, nel 2020, che il patibolo pubblico eserciti dunque una ulteriore violenza, quella che gli esperti chiamano 'vittimizzazione secondaria': è il meccanismo tipico per cui quando la vittima è una donna si scarica la responsabilità o parte di essa su di lei.
Vittima due volte. Così se una ragazza è stata violentata, giusto che il colpevole vada in carcere, ma (c’è sempre un 'ma') lei è stata quantomeno sprovveduta, o 'ingenua', come ha scritto in prima pagina 'Libero', che addirittura invoca una «tirata d’orecchi» per i genitori della vittima, evidentemente incapaci di controllarla. L’ingenuità però non è una colpa, anzi semmai un’aggravante per il colpevole, mentre lo stupro è sempre un reato grave. Succede anche nei femminicidi: in quante cronache leggiamo che 'lui era calmo, sereno, felice' ma 'turbato perché lei aveva deciso di lasciarlo'? Nel giorno in cui celebriamo l’impegno contro la violenza sulle donne, assistiamo al linciaggio della dignità di altre donne. In Italia esiste una parte di società che è andata avanti, che in modo convinto e sincero fa spazio e rispetta le donne, incoraggia i loro talenti e ne promuove la realizzazione.
Ma c’è ancora una parte, non del tutto residuale purtroppo, come dimostrano i dati che pubblichiamo in altra sezione di questo giornale, che non si dà per vinta e concepisce le donne come oggetto del desiderio, ne auspica la sottomissione e ne punisce le legittime aspettative di uguaglianza e pari dignità. La violenza contro le donne non è accettabile, né sono scusabili le parole misogine e sessiste gettate come pietre addosso alle donne sulla pubblica piazza. Alziamo la voce, donne e uomini insieme, contro questo scempio. Le ferite non sono solo quelle che si curano con i punti di sutura. Le altre, provocate dai giudizi colpevolizzanti, dallo stigma malevolo, possono bruciare altrettanto forte.