Per accogliere il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (MbS), il primo ministro indiano Narendra Modi ha persino rotto il protocollo, recandosi di persona all’aeroporto di New Delhi: l’abbraccio fra i due leader richiama i sorrisi scambiati, due giorni prima, tra il presidente pakistano Imran Khan e MbS, durante la prima tappa del viaggio di quest’ultimo in Asia. Sono immagini assai diverse da quelle del G20 di Buenos Aires. Era la fine di novembre e sui media e nelle cancellerie di mezzo mondo infuriava il caso Khashoggi: l’uccisione del giornalista saudita, divenuto critico nei confronti della nuova leadership di Riad, avvenuta il 2 ottobre all’interno del consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul.
La presenza di Mohammed bin Salman al summit argentino, la prima uscita internazionale (a parte un tour arabo), dall’inizio della dirompente vicenda, era stata accolta con freddezza e imbarazzo dai partner occidentali. Vladimir Putin aveva invece scambiato un caloroso saluto con il principe saudita, quasi una dichiarazione politica in favore di telecamere. Il caso Khashoggi, con il suo strascico di bugie, ombre e verità (mal)celate, ha reso molto più complicati, nonché faticosi, i rapporti fra l’Arabia Saudita e i partner occidentali. L’effetto indiretto del brutale omicidio del giornalista è stato il rafforzamento dei già solidi rapporti fra Riad e le potenze asiatiche, che oggi sono le prime consumatrici di petrolio saudita.
D’altronde, l’interdipendenza economica fra Golfo e Asia è uno dei trend geopolitici più marcati di questo inizio di Ventunesimo secolo: i suoi vettori sono petrolio, investimenti e infrastrutture. Pakistan e India, rivali storici, hanno fatto a gara a 'stendere il tappeto rosso' al principe ereditario: la sua visita giunge poi nei giorni di escalation diplomatica fra New Delhi e Islamabad, dopo l’attacco suicida che ha ucciso una quarantina di poliziotti indiani nel Kashmir, rivendicato dal gruppo terroristico Jaish-e-Mohammed, basato in Pakistan.
Da poco eletto presidente, Khan aveva già partecipato alla conferenza economica saudita del 23 ottobre (disertata da gran parte di investitori e sponsor occidentali), ottenendo poi un vitale aiuto finanziario pari a 6 miliardi di dollari da Riad. Adesso, MbS ha siglato accordi per 20 miliardi di dollari. Islamabad, si sa, è da sempre un partner privilegiato dell’Arabia, che non ha mai lesinato finanziamenti in cambio di soldati, tecnici e cooperazione nucleare. Il rapporto con l’India, seppur dalle radici antiche, si è rafforzato negli ultimi anni, grazie alla vertiginosa crescita economica della democrazia asiatica: MbS intenderebbe investire in India fino a 100 miliardi di dollari nei prossimi anni.
Le infrastrutture sono al centro della missione asiatica del principe: l’India cerca di rispondere alla 'Nuova Via della Seta' della rivale Cina con la 'strategia della connettività', basata su porti e ferrovie, e per farlo ha bisogno anche di Riad. A Pechino, MbS conferma poi la partnership con la Cina, sempre più attenta a mantenere la consueta equivicinanza, in nome degli affari, tra Arabia e Iran (non a caso, il ministro degli esteri di Teheran si è appena recato lì). Un anno fa, Mohammed bin Salman preparava il viaggio negli Stati Uniti: quelle due settimane d’aprile tra Casa Bianca e Silicon Valley dovevano mostrare il nuovo corso di Riad, incarnato dal giovane principe, tra modernizzazione e moderazione. Dopo Khashoggi, gli arresti di attivisti e businessmen e il perdurare della guerra in Yemen, quell’immagine si è assai offuscata.
E si potrebbe dire, evocando prima il libro di Vittorio Emanuele Parsi e poi il recente Rapporto 2019 dell’Ispi, che proprio la parabola delle alleanze internazionali dell’Arabia, sempre più rivolta a oriente seppur senza strappi definitivi con e dall’Occidente, ben sintetizzi il 'naufragio' e poi la 'deriva' dell’ordine liberale a livello mondiale.