Caro direttore, come il Covid-19 abbia cambiato la nostra vita lo possiamo desumere dalle immagini restituite dai media: città isolate, strade deserte, negozi, scuole, cinema e teatri chiusi. E poi ci sono i reportage dai reparti, dalle terapie intensive... C’è una solitudine dilagante, insopportabile, che emerge dalla segregazione che questo virus ha comportato: nella mente e nelle azioni. Ma c’è una segregazione ancora più insopportabile ed è quella tra i familiari e i loro cari che non hanno il Covid ma che sono ospiti, ricoverati, in strutture riabilitative e case di cura.
È un limite a livello nazionale che anche noi, come altri, stiamo cercando di combattere e lo facciamo in una delle regioni virtuose, l’Emilia-Romagna, nella quale siamo attivi da anni nelle eccellenze dei percorsi di cura. Eppure le richieste fatte da familiaricaregiver di pazienti con gravissime disabilità acquisite (Gda) firmatari delle lettere inviate a ottobre e dicembre 2020 alla Regione emiliano-romagnola e da noi sostenute purtroppo non hanno avuto seguito. Così come i successivi incontri con l’assessore alla Salute Raffaele Donini e con la vicepresidente Elly Schlein, in cui abbiamo avuto l’occasione di illustrare nel dettaglio la condizione e le conseguenze del severo isolamento affettivorelazionale dei pazienti Gda.
Tanta disponibilità e adesione all’ascolto, ma purtroppo nessun risultato concreto. A oggi le regole d’ingresso dei familiari- caregiver presso queste strutture rimangono molto ristrette e poco adeguate, sia nelle modalità sia nella frequenza, alle specificità ed esigenze cognitive, neurologiche ed emotive di questi pazienti. Eppure a seguito della pubblicazione dell’ultimo dpcm del 2 marzo scorso, con particolare riferimento all’art. 3 comma 1 (disposizioni specifiche per la disabilità) e all’art. 11 comma 5 (ingresso caregiver nelle strutture ospedaliere) i familiari hanno chiesto la possibilità che la Regione emani dei protocollipiani territoriali che estendano il diritto d’accesso dei caregiver, oltre che nei reparti ospedalieri, anche nei nuclei Gda delle Rsa, sussistendo le medesime esigenze di affiancamento e assistenza a questa tipologia di pazienti gravemente non autosufficienti. I modelli non mancano (non solo quello della Casa dei Risvegli 'Luca De Nigris', ma anche di altri presìdi ospedalieri) che utilizzando gli stessi screening- Dpi previsti per il personale sanitario e assistenziale e consentono l’accesso in sicurezza del familiare- caregiver. Bisogna però che a livello nazionale la conferenza Stato-Regioni affronti un problema non più procrastinabile. La pandemia continua, l’immunità di popolazione (o di gregge) è di là da venire e intanto se purtroppo tanti muoiono per davvero, molti altri muoiono dentro.
Non possiamo tutelare all’infinito la nostra paura, né possiamo immolare i caregiver sull’altare della sicurezza. Siamo per la tutela del personale sanitario, non sanitario, dei caregiver e degli utenti che fanno parte del percorso di cura. Avevamo pensato che proponendo di vaccinare volontari e familiari, vaccinandoci noi stessi avremmo potuto superare gli ostacoli e abbattere quel muro invalicabile che impedisce la relazione tra i caregiver e i loro cari. Non è stato così. Eppure ci deve essere un protocollo che ammetta la sicurezza di chi si vaccina, adotta presìdi di distanziamento, tutelando se stesso e gli altri. Creiamo un 'passaporto per i caregiver': un lasciapassare che non interrompa una relazione insostituibile e necessaria. #iomivaccinoesonovicino.
Direttore Centro Studi per la ricerca sul coma 'Gli amici di Luca' nella Casa dei Risvegli Luca De Nigris di Bologna