Con la decisione della Corte Suprema di non bocciare la riforma sanitaria fortissimamente voluta dal presidente, Barack Obama entra per la seconda volta nella storia degli Stati Uniti.
Questa volta però non da candidato, il primo nero a risiedere alla Casa Bianca, ma da presidente in carica, per essere riuscito dove altri suoi predecessori più forti e popolari (Bill Clinton) hanno fallito. Il presidente Obama si inscrive così nel solco dei grandi riformatori democratici, quello di Roosevelt, Kennedy e Johnson. Obama è riuscito dove Clinton ha fallito per una sola semplice ragione: perché non ha mollato, perché non si è arreso di fronte alla difficoltà, perché ha trattato tutto il trattabile senza arretrare sull’essenziale pur di portare a casa il risultato.
Ha scelto di andare avanti nonostante sappia benissimo che proprio questa scelta potrebbe costargli la rielezione. Poteva attendere gli ultimi due anni del possibile secondo mandato: quelli in cui i presidenti sono più liberi dai vincoli elettorali e provano a lasciare il proprio segno nella storia ma anche quelli in cui il loro potere si va affievolendo. Ha deciso invece di rischiare e di chiamare gli elettori a giudicare se vogliono salvare la sua riforma rieleggendolo o affondarla rimandandolo a casa. Evidentemente, la garanzia di un diritto alle cure sanitarie svincolato dal livello di reddito gli stava più a cuore di quanto fosse stato ad altri. È una scelta, la sua, tanto più coraggiosa perché i tempi di Obama, i nostri tempi, non sono certo quelli di Kennedy e Johnson, quando il keynesismo era ancora considerato l’'ortodossia economica' e nessuno pensava che lo smantellamento del welfare state fosse la dura precondizione di qualunque rilancio dell’economia.
Sullo slancio di questa vittoria, ancora non definitiva e ancora ribaltabile, ritroviamo il Barack Obama delle primarie e della corsa presidenziale di quatto anni fa, che con la sua determinazione e la sua audacia seppero contagiare di entusiasmo un’America ripiegata su se stessa e in crisi di fiducia per le guerre infinite e per la crisi finanziaria. Non sappiamo se questo basterà ad assicurargli il successo, ma sappiamo che se dovesse perdere perderà in piedi, da combattente, tradito dall’audacia, forse, ma non certo dall’ignavia. Oltre a garantire un’assistenza ai milioni che ne sono sprovvisti, la riforma dovrebbe ridurre la prepotente arroganza delle compagnie assicurative che si muovono nei confronti dei malati con la stessa noncuranza che in Italia le loro consorelle mettono in mostra sul mercato della RC auto... E potrebbe persino riuscire a ridurre il costo complessivo della bolletta sanitaria sul Pil degli Usa (un’incidenza superiore a quella che i sistemi di welfare europei più generosi hanno sui rispettivi Pil).
Ma, come "Avvenire" ha spiegato con dovizia di particolari, porta una pesante ombra (che rischia di oscurare molti suoi meriti). Contiene infatti elementi di perentorietà e obbligatorietà che in diversi hanno criticato. La Conferenza Episcopale Americana, in particolare, ha espresso da tempo forti riserve sul fatto che i datori di lavoro debbano fornire ai propri dipendenti una copertura assicurativa integrale, anche nei confronti di spese mediche relative a pratiche sulle quali nutrano riserve di carattere etico. Si tratta, in buona sostanza, della contraccezione e dell’aborto. I vescovi americani hanno ravvisato in questa obbligatorietà un attacco alla libertà religiosa e di coscienza. È più che evidente che le autorità ecclesiastiche non possano essere favorevoli a vedere destinate le proprie risorse a finanziare pratiche che condannano con convinzione e coerenza.Le obiezioni dell’episcopato hanno analogie con quelle dei giudici conservatori della Corte e con quelle dei repubblicani, che proprio sulla libertà di scelta hanno basato gran parte della strategia di attacco. Di sicuro, perdere il sostegno dei cattolici potrebbe essere fatale all’intero disegno riformatore e costare molto caro anche al presidente in vista delle elezioni di novembre. Tutti fatti che lasciano aperto un barlume di speranza affinché i vescovi possano ottenere quanto motivatamente chiedono: una copertura sanitaria che non dipenda dal reddito senza con questo doversi mostrare conniventi con l’aborto legalizzato.