Il musicista Darius Mazintas a Irpin - Reuters
Caro direttore,
la guerra è opera dell’uomo. L’uomo ci mette le giustificazioni, gli obiettivi, le parole d’ordine, l’organizzazione, la logistica, la tattica, la strategia. Elemento fondamentale: ci mette la tecnologia, con cui costruire armi micidiali, estremi esempi della perversione dell’intelligenza. Armi per uccidere sempre di più. Poi l’uomo mette nella guerra la forza di volontà, la tenacia, il coraggio e un incredibile spirito di sacrificio, fino al consapevole rischio della morte. Per tutto questo, si è parlato nei secoli di «arte della guerra». Arte nel senso di artificio, di opera umana, di opera dell’ingegno.
L’arte è anch’essa opera dell’uomo. L’uomo ci mette la creazione di bellezza che affascina, inquieta, interroga, spiazza, apre prospettive, suggerisce visioni... Anche l’arte risponde a un desiderio profondissimo e insopprimibile: per rabbia si fa la guerra, per amore si fa l’arte. C’è un nesso tra questi due mondi umani? No, se non ce lo inventiamo. Se non lo vogliamo con una certa energia, forse con un pizzico di follia. E se, invece, la risposta fosse 'sì', allora certamente avverrebbe una stupefacente reazione tra le persone. La Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti di Milano (casaspiritoarti@gmail.com) sta cercando ostinatamente di organizzare un evento artistico di importanza 'planetaria' che potrebbe smentire la guerra.
Il luogo: Dolhobyczow, in Polonia nei pressi di Lublino, per poi raggiungere il confine con l’Ucraina.
Un evento di arte e di popolo. Questa l’idea. Un musicista famoso potrebbe comporre '7 note per la pace': un semplice ma incisivo motivo musicale, facile da eseguire per molti. Chi potrebbe essere questo musicista? Dovrebbe trattarsi di un artista innamorato del bello: un personaggio che abbia contratto un credito infinito presso l’umanità sensibile e assetata di bello a ogni latitudine e oltre ogni frontiera. Possiamo fare qualche esempio? Arvo Pärt, per la maestria, la passione, la creatività, l’intensità spirituale della sua musica. Peter Gabriel, per l’apertura a sonorità e tradizioni di ogni popolo. Brian Eno, ispiratore di musicisti che sono entrati nel cuore di molti. Nicola Piovani, attento narratore di sentimenti, anche associati a storie indimenticabili...
Potremmo proseguire (che gioia sarebbe stata proporlo a Ennio Morricone...): speriamo che qualcuno risponda! Queste '7 note per la pace' potrebbero essere eseguite da un popolo di musicisti nei pressi del confine tra Polonia e Ucraina, nel giorno di un grande raduno di artisti, autoconvocati a questo scopo. Che utilità avrebbe tutto questo? La risposta è concretissima: sta nelle parole 'popolo' e 'artisti'. Ci stiamo tutti nutrendo di pensiero dolente per tutte le vittime della guerra; di desiderio di far prevalere le ragioni della pace su quelle della politica politicante, degli interessi contrapposti, del calcolo; di volontà di unire, ostinatamente, invece che dividere, come raccomanda papa Francesco con santa insistenza... La 'logica' della guerra è la 'logica' del mondo vittima dei suoi stessi interessi contrapposti.
Quando le ragioni, i moventi, gli interessi del mondo impazziscono e cadono su se stessi, ecco la guerra. E le rovine di questa crisi dell’umanità – che tanto spesso si è ripetuta nella storia – cadono sugli innocenti. Cosa possiamo fare perché il pacifismo istintivo di milioni di uomini e donne assuma una visibilità efficace e disarmata? Ecco: possiamo contrapporre alle armi della morte le armi della vita e della creatività. Possiamo frapporre tra l’uomo innocente e la malvagità del mondo la forza potentissima e da tutti amata della bellezza. Ecco l’idea, in sintesi e in concreto.
Il luogo: Dolhobyczow, Polonia, per poi raggiungere il vicinissimo confine con l’Ucraina. Chi: musicisti da tutta Europa, famosi e no. Che cosa: una semplicissima composizione musicale originale. «Non è un linguaggio e non sono parole di cui non si oda il suono», dice il salmo. E qualcuno, tra i potenti del mondo, ma anche tra noi, è bene che sappia che esiste, trasversale, universale, ingenuo e potente, un 'consenso della pace' che finalmente, invece di limitarsi a sollevare dubbi nei talk show, ha deciso di darsi voce. Con l’arte. E con un popolo.